“Qui a Odessa ho casa, moglie e figli. Sto per aprire un ristorante, ho investito tanti soldi e finché non mi cacciano rimango in Ucraina!”. Marcandrea De Vito è uno dei duemila italiani che vivono nel Paese. Lui ha scelto le coste del Mar Nero e così come per la gran parte dei connazionali presenti soprattutto a Kiev, l’invito della Farnesina a rientrare in Italia, viene sostanzialmente rispedito al mittente. Gli expats, chi per lavoro e chi per amore, sembrano smarcarsi dalle crisi di panico che stanno attanagliando le cancellerie di mezzo mondo e in particolare quelle occidentali: alla guerra, in fondo, ci credono poco, o almeno non all’invasione totale. “Vivo a Odessa da tre anni e qui è tutto tranquillo come sempre. Per me siamo di fronte a una sorta di psicosi politica mondiale ed anche se ho ricevuto l’sms del Ministero degli Esteri non ci penso a rientrare”, spiega.

Andrea Vannucci è invece a Kiev da almeno un decennio, ha vissuto a lungo anche in Russia ed è convinto anche lui che “non ci sarà nessuna guerra, perché Mosca non ha bisogno di annettersi l’Ucraina. Per quale motivo dovrebbe farlo? Non ci sono materie prime, l’industria è poco sviluppata, sarebbe una zavorra per il Cremlino. Biden perde consensi, l’Europa non se la passa bene, ho la sensazione che si voglia assoggettare la Russia a un nuovo ordine mondiale. La gente qui l’ha capito e vive normalmente. Ieri sera, come ogni sabato, i ristoranti e i teatri della capitale erano pieni. È un panico artificiale, creato da chi ne ha l’interesse”.

A Dnipro, nell’Ucraina centrale, la sensazione è più o meno la stessa. Gianpaolo Patat ha ricevuto ieri la comunicazione dalla sua azienda, che gli ha imposto di rientrare in Italia entro domani: “Ma non so cosa farò, non ho ancora deciso. Non c’è agitazione, qui. I supermercati non sono stati presi d’assalto e credo e spero che ci sia ancora tempo per mediare ed evitare l’escalation. La mia sensazione è che si proverà a trovare un compromesso: l’Ucraina non entrerà nella Nato e in cambio la Russia offrirà qualche valida alternativa. Questo è un paese dove gli stipendi medi sono ancora molto bassi e credo che Mosca abbia altre soluzioni per mandare sul lastrico Kiev senza un’invasione su vasta scala”.

Da Kharkiv, seconda città del Paese con il suo milione e mezzo di abitanti a soli quaranta chilometri dal confine russo, c’è allerta ma senza eccessi. Marco Cirulli, interprete romano, ci abita da una quindicina d’anni e conferma la sensazione degli altri italiani d’Ucraina: “Non è successo niente di strano, nulla è cambiato. La psicosi cresce tra noi stranieri, soprattutto se seguiamo i nostri media. Segnalo invece che a fronte del sollecito messaggio della Farnesina c’è grande difficoltà nel registrarsi sul sito del Ministero per segnalare la nostra localizzazione. E in questo momento, forse, sarebbe opportuno velocizzare questo passaggio”.

Fuori dal coro è invece Alberto De Marco, che vive e lavora a Kiev da sei anni: “Sono certamente preoccupato. Ho trasformato in realtà alcuni dei progetti ai quali tengo maggiormente. La mia azienda è qui, la mia fidanzata è qui, i miei cani, i miei amici, la mia vita. Prima la pandemia e i lockdown e adesso osservo dal vivo le premesse di una possibile terza guerra mondiale, sull’uscio di casa mia. La prima cosa che ho pensato è che siamo tutti assolutamente impreparati. Nessuno di noi ha idea di che cosa può significare vivere in caso di conflitto. Qui le cose vanno avanti normalmente. I negozi sono aperti, non c’è ressa, tutte le merci sono disponibili, c’è il solito traffico nelle ore di punta ma comunque ho prenotato un biglietto aereo e rientrerò in Italia per alcune settimane. Ma poi tornerò qui, in ogni caso. Se ci sarà la guerra verrò a prendere i miei cani e la mia compagna ed a quel punto saremo profughi. Sarà molto dura ma non abbandonerò mai le persone che amo”.

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