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Storia di Bussana Vecchia, la frazione “hippy” di Sanremo: a pochi passi dall’Ariston senza mai “incontrare” il Festival – FOTO

Tutto comincia nei favolosi “Sixties” quando una comunità di artisti figli dei fiori si stabilisce a Bussana Vecchia, un borgo medievale abitato soltanto da un manipolo di famiglie arrivate dal Sud dopo il terremoto del 1887

di Simona Griggio

Quella di Bussana Vecchia, frazione di Sanremo abitata da un gruppo di hippy fin dagli anni ‘60, è una storia che ci riguarda tutti. Il Festival c’era già. Ma per uno di quei paradossi che accadono nella realtà, chi cantava vagamente la ribellione non ha mai incontrato chi la viveva davvero. Sarebbe bastato percorrere nove chilometri: dal centro di Sanremo alla verdeggiante collina del borgo ci sono solo venti minuti di auto. Ma non è successo. Da un lato, quindi, la kermesse con il business della case discografiche, dall’altro chi infilava collanine, coltivava ortaggi, viveva di autosostentamento, predicava un mondo libero dal potere del denaro.

Tutto comincia nei favolosi “Sixties” quando una comunità di artisti figli dei fiori si stabilisce a Bussana Vecchia, un borgo medievale abitato soltanto da un manipolo di famiglie arrivate dal Sud dopo il terremoto del 1887. Vivono della coltivazione di garofani. Lo sappiamo anche grazie a Luigi Squarzina, il regista dello Stabile di Genova che nel 1960 trae da questo incredibile vissuto di immigrazione l’idea di uno spettacolo di teatro-documento: “La grande speranza”.

Ma ad accrescere quel piccolo gruppo di immigrati arrivano ad un certo punto gli hippy. Tra i primi il ceramista Mario Giani e il pittore Vanni Giuffrè. Vi si stabiliscono con l’idea di far nascere sul posto la “Comunità internazionale degli artisti”. Poi ne arrivano altri anche dall’estero. Si rimboccano le maniche, alle prese con i cumuli di pietre che ostacolano le dissestate salite mettono le mani nella terra e nella polvere. Portano l’acqua dove non c’è. Alla buona.

Nel 1968 il primo tentativo di sgombero da parte delle autorità. Ma è proprio l’anno della contestazione. Si costruiscono barricate, i giornalisti raccontano. E tutto va avanti senza grossi problemi.

La piccola comunità vive soprattutto di artigianato, coltivazione e prodotti artistici. Basta poco per la sopravvivenza. Al vicino Festival, allora ancora al Casinò di Sanremo, Gianni Pettenati, dopo il successo di “Bandiera Gialla, canzone manifesto con “Le pecore nere”, si esibisce in coppia con Antoine nel brano “La Tramontana”. Nino Ferrer invece partecipa con il “Re d’Inghilterra”. Gli anni seguenti scorrono sereni.

Agli hippy solo una volta viene in mente di coinvolgere un cantante. Ed è proprio Antoine. Lo vogliono per una Via Crucis vivente nel borgo. Ma la cosa non va in porto e chiamano un attore di colore. Il Cristo nero alla fine è molto più rappresentativo del cantante francese.

Il borgo è autonomo. Si condivide una visione del mondo lontana dai riflettori. Non ci sono regole. Solo la consapevolezza di essere una comunità. Però, quando Peter Gabriel arriva a Sanremo nel 1983, come ospite del Festival per cantare “Shock the Monkey”, vuole assolutamente visitarlo. È il segno che quei due mondi si sfiorano. Si toccano.

Solo un anno dopo, ed è il 1984, il Demanio stabilisce che quel borgo medievale è territorio dello Stato. Nel 1999 il ministro dei Beni culturali lo definisce “patrimonio storico indisponibile” e nel 2017 arrivano agli abitanti le richieste di indennizzo per occupazione di suolo pubblico. All’artista Jana Mazurova, di Praga, giunta a Bussana nel 1968 con il marito viennese Weiner Wolf, produttori entrambi di candele profumate delle più svariate e psichedeliche fogge, arriva l’intimazione di pagare 75 mila euro.

Da lì una controversia legale che dura ancora oggi. Intanto il Comune ha chiesto di partecipare, attraverso la Regione, al bando del ministero della Cultura per la rigenerazione culturale e sociale dei piccoli borghi storici. Obiettivo: 20 milioni dal fondo europeo “NextGenerationUe”. Non solo per rigenerare un’area sismica, ma un patrimonio culturale e di artigianato. Con gli hippy dentro.

Basta visitare il vecchio borgo oggi per ricomporre un mosaico di memoria collettiva. Petali di fiori sparsi nei piccoli negozi di artigianato, profumo del patchouli. Ricordano i matrimoni e le processioni buddiste degli anni ’70 in Italia: “Hare krishna, krishna hare”. Il ritorno di viaggi dall’India, dalla comunità Pune di Osho dove tutto era di tutti. Persino i figli.

I libri impegnati su scaffali pieni di candele e i monili realizzati a mano, le collanine di perline colorate, le lampade artigianali costruite con manualità ricercata. Il percorso conta più del risultato. Rami e arbusti trovati sulla spiaggia diventano il simbolo di un’utopia. La scacchiera gigante costruita nel prato a misura d’uomo ti accoglie appena entri in paese. Le cassette della posta sono rimaste quelle di una volta. Più in alto, la scritta “Ristorante e B&B naturale”.

Si prosegue in salita fino al giardino di piante grasse di Luisa Bistolfi. Squinternato e un po’ selvaggio. Con pochi euro lo puoi visitare fino a vedere il cielo, le sue ombre e le sue luci su un momento di storia collettiva. Non è solo un viaggio fra scale e scalette di pietra in bilico sull’orizzonte mozzafiato. È il racconto di un‘utopia.

Quando arrivi sulla terrazza più alta lei ti porta in una stanza polverosa e ti mostra una foto. In minigonna, bellissima, è appena arrivata a Bussana Vecchia. Poi ti racconta di quel sogno che solo in pochi altri luoghi puoi ritrovare, se hai l’età anagrafica per farlo. Non c’è bisogno di sforzi. Il flusso dei ricordi, che magari non sono nemmeno i tuoi, ti invade.

I primi concerti rock di quando eri bambina: alle Cascine di Firenze la riedizione di Woodstock. Le spiagge di nudisti in Toscana, il Living Theatre di Judith Malina e Julian Beck che bruciavano banconote, le feste aperte a tutti nelle Comuni, le famiglie allargate in cui non sapevi chi fosse figlio di chi. Peccato che tutto sia finito così.

Allora pensi ai Måneskin, ospiti di questa edizione del Festival di Sanremo e ti chiedi se un po’ di quella storia non sia arrivata anche a loro.

All’improvviso il gatto di Bistolfi scappa in giro con i suoi amici cani e ripiombi nella realtà. “Dove va?”. “È libero, è di tutti – risponde – Qui non ci sono proprietari”. E ti viene quasi da piangere. Hai speso pochi euro per una storia che vale molto di più.

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