di Roberto De Vogli e Alberto Peruffo*

Più di un mese fa, all’Istituto Sturzo di Roma, si è svolta la Conferenza Stampa della visita degli inviati dell’Alto Commissariato Onu in Italia, per alcuni approfondimenti sulla contaminazione da Pfas in Veneto, stimato come “il più grande inquinamento ambientale d’Europa”. Nella relazione finale, Marcos Orellana – Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla violazione dei diritti umani in relazione alle sostanze tossiche – ha sottolineato l’omissione di informazioni cruciali per la salute da parte delle autorità regionali del Veneto”.

“Sono seriamente preoccupato dall’entità dell’inquinamento da Pfas in alcune aree della regione Veneto” spiega Orellana. Poi continua: “Più di 300 mila persone nella regione sono state colpite dalla contaminazione dell’acqua da Pfas, compresa l’acqua potabile. I residenti della zona hanno sofferto gravi problemi di salute, come infertilità, aborti e diverse forme di tumori, tra gli altri”. In effetti, esistono numerosi studi scientifici sull’impatto dei Pfas sulla salute. Si sono occupate del tema prestigiose istituzioni come la Scuola di Salute Pubblica di Harvard, i Centri per il Controllo delle Malattie e l’Agenzia di Protezione Ambientale degli Stati Uniti.

Secondo quest’ultima, l’esposizione a determinati livelli di Pfas può portare a:

1) Effetti sulla riproduzione come diminuzione della fertilità o aumento della pressione sanguigna nelle donne in gravidanza;

2) Effetti o ritardi sullo sviluppo nei bambini, inclusi basso peso alla nascita, pubertà accelerata, variazioni ossee o cambiamenti comportamentali;

3) Aumento del rischio di alcuni tipi di cancro, inclusi i tumori della prostata, dei reni e dei testicoli;

4) Ridotta capacità del sistema immunitario del corpo di combattere le infezioni, inclusa una ridotta risposta vaccinale;

5) Interferenza con gli ormoni naturali del corpo;

6) Aumento dei livelli di colesterolo e/o rischio di obesità.

Perché i cittadini veneti non sono stati avvertiti dei rischi per la loro salute? Ovviamente la Miteni ha le più gravi responsabilità e 15 manager sono già stati rinviati a giudizio, ma che ruolo hanno giocato invece le autorità locali? Nel 2013, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) ha informato le autorità della regione Veneto della presenza degli inquinanti Pfas. Le autorità regionali hanno intrapreso una serie di azioni come l’installazione di filtri a carbone per purificare l’acqua potabile nelle aree più inquinate, la segnalazione del caso alla procura, la revisione delle autorizzazioni sui limiti di scarico dei Pfas delle aziende che li usano, oltre a opere pubbliche per portare acqua non inquinata nelle zone colpite.

“Tuttavia le stesse autorità non hanno informato i residenti delle aree contaminate sull’inquinamento da Pfas e sui rischi per la salute della popolazione”. Secondo una portavoce del gruppo Mamme No Pfas, oltre ai diritti alla salute, all’acqua potabile e a una alimentazione sana, è stato violato il diritto all’informazione: “Non abbiamo potuto scegliere se bere o no l’acqua inquinata, almeno dal 2013 al 2017, perché l’acqua che ci arrivava in casa era considerata potabile. Nessuno ci aveva avvertito che conteneva Pfas”.

Come elucidato nei documenti d’indagine del procedimento penale Pfas, sia la provincia di Vicenza che l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione Ambientale del Veneto (Arpav) avrebbero potuto far emergere informazioni sull’inquinamento già molti anni prima, ma “sapevano e tacevano”. Non solo, è stato proprio un decreto regionale del 2014 (con rinnovo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale) ad aver permesso alla Miteni di produrre un nuovo contaminante usato in sostituzione del Pfoa, chiamato GenX, sversato poi per anni in ambiente, mentre un’omissione del 2005 da parte dell’Ufficio della Regione Veneto del Genio Civile di Vicenza ha permesso alla Miteni di realizzare una barriera idraulica per il trattamento ambientale di acque inquinate senza nessun effettivo controllo da parte dell’Arpav.

Già nel 2009, un documento dell’Agenzia di Protezione Ambientale degli Stati Uniti avvertiva: “I Pfc a catena lunga sono un problema per la salute dei bambini. Le esposizioni dei bambini sono maggiori rispetto agli adulti a causa dell’aumento dell’assunzione di cibo, acqua e aria per chilo di peso corporeo, nonché delle vie di esposizione specifiche del bambino come il consumo di latte materno”. Come sottolineato dai medici Isde, la Regione Veneto non ha avviato nessuna seria indagine epidemiologica per analizzare gli effetti dell’esposizione Pfas sulla salute. Inoltre, le analisi sul rischio di contaminazione alimentare promosse dalla Regione Veneto sono state parziali, datate e tenute nascoste alla popolazione fino al pronunciamento 2021 del Tar.

Cosa aspettano i veneti a far valere i loro diritti alla salute, acqua, alimentazione e informazione sui rischi generati dai Pfas?

*Alpinista di rilievo del Cai nazionale, editore e attivista di prima linea su questioni di giustizia sociale e ambientale, “connettore” del movimento No Pfas. Fondatore del Laboratorio Politico di Ecologia, si occupa di reti digitali culturali e arte multimediale.

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