‘Da un lato, stipendi miseri con la promessa di inquadramento, stage-truffa per cui si richiedono anni di esperienza, inserzioni vaghe pubblicate su canali non istituzionali. Dall’altro, il coro incessante di chi lamenta carenza di personale e accusa i giovani di non volersi rimboccare le maniche. Un paradosso tutto italiano dietro al quale si nascondono una cultura imprenditoriale arretrata e spesso la volontà di apparire. Ne è convinto Osvaldo Danzi, fondatore della business community FiordiRisorse e organizzatore del festival della cultura del lavoro Nobìlita, che al fattoquotidiano.it spiega come dietro le difficoltà nel trovare dipendenti millantate dagli imprenditori si celi spesso una realtà fatta di protagonismo e processi di selezione da dilettanti o addirittura inesistenti.

“All’Inps risultano 368mila assunzioni stagionali da maggio a luglio, dato già di per sé sufficiente a smentire sia le previsioni catastrofiste delle rappresentanze imprenditoriali sia le tante dichiarazioni sulla presunta mancanza di candidati”, racconta Danzi. “Come se non bastasse, con il nostro giornale SenzaFiltro abbiamo scoperto come molti degli imprenditori che lamentavano carenza di personale non l’avessero minimamente cercato o, quanto meno, non lo avessero fatto sui canali adibiti a tale scopo: le piattaforme dedicate e i centri per l’impiego“. Tra loro ad esempio Paolo Agnelli, numero uno dell’omonima azienda di lavorazione dell’alluminio nonché presidente di Confimi Industria, l’organizzazione che rappresenta gli operatori del settore manifatturiero e dei servizi alla produzione. “A ottobre 2020 vari giornali hanno ripreso la sua testimonianza sulle difficoltà a reperire addetti ma da una verifica effettuata in quegli stessi giorni non è emersa alcuna offerta di impiego pubblicata dalla sua società su LinkedIn né altrove nel web, così come nessuna sezione ‘lavora con noi’ risultava disponibile sul sito istituzionale”, spiega il fondatore di FiordiRisorse.

“Un fact checking analogo è stato fatto in estate anche su tanti altri nomi, da Paolo Bianchini, presidente di Mio Italia, ad Andrea Madonna, che guida la sezione veneta della stessa associazione di categoria per albergatori e operatori turistici, fino a Daniela Petraglia, presidente di ConfRistoranti Confcommercio Provincia di Pisa. E in tutti i casi l’esito è stato il medesimo: offerte di lavoro non pervenute”. Al punto che, precisa Danzi, “viene da pensare ci si basi sul semplice passaparola o su agenzie interinali locali” invece che “fare ricorso a professionisti del personale o meccanismi di selezione strutturati“. Per poi lamentare pubblicamente, forse per “desiderio di visibilità”, le presunte difficoltà a reperire personale.

Discorso analogo per quanto riguarda il Reddito di cittadinanza: a chi sostiene che la misura spinge i percettori ad adagiarsi e rimanere inoccupati anziché cercare lavoro il recruiter fa notare: “Gli imprenditori che parlano dei centri per l’impiego malfunzionanti non ci hanno mai messo piede. Nessuno di loro ha mai chiesto una lista dei percettori del sussidio per formulare una proposta di impiego. Nessuno ha mai segnalato eventuali rifiuti. Ciò ha una semplice spiegazione: passare dai navigator significa essere più trasparenti sulle condizioni contrattuali offerte e questo a certe aziende non conviene”.

I numeri, dunque, sconfessano su tutta la linea la retorica sulla carenza di dipendenti portata avanti da una fetta del tessuto imprenditoriale italiano durante la pandemia. E anche nei pochi casi in cui difficoltà nel trovare addetti possono esserci state, il problema, secondo Danzi, va ricercato principalmente nella scarsa lungimiranza di chi assume. Un esempio lampante viene proprio dal settore dell’ospitalità: “Tanti lavoratori a bassa specializzazione impiegati prima del Covid sulle nostre riviere si sono spostati in comparti con contratti più stabili e un trattamento più umano“, spiega il selezionatore. Insomma, prosegue, “la pandemia ha ridefinito le priorità e coloro che fino a due anni fa giocavano con le formule contrattuali si ritrovano ora a pagarne il prezzo“.

C’è poi il grande tema delle candidature “alla cieca”, mandate in risposta ad annunci che vengono sì pubblicati su piattaforme ad hoc ma senza specificare la natura del contratto né il livello di retribuzione. Un fenomeno che, secondo Danzi, è ugualmente specchio di una cultura del lavoro arretrata e perfino controproducente per gli stessi imprenditori: “Da un lato, i selezionatori non sanno far capire ai clienti che assumere è una forma di comunicazione e, dall’altro, il datore di lavoro e il direttore del personale hanno paura di legittimare il candidato a richiedere una retribuzione più alta”, spiega. Un vero e proprio “terrore della trasparenza“, che per l’esperto impedisce alle aziende di scremare, ad esempio specificando la retribuzione e la proposta contrattuale.

Quanto al fenomeno dei finti-stage, tirocini prolungati all’estremo e spesso sottopagati che però vengono concessi solo a fronte di diversi anni di esperienza del candidato, secondo l’esperto si tratta nei fatti di “un mercato con cadenza semestrale al quale le aziende ricorrono per riempire incarichi di cui hanno bisogno ma per cui non vogliono spendere”. Il risultato è che “sono ormai all’ordine del giorno le esperienze di giovani costretti a passare attraverso tre stage consecutivi anche con mansioni di responsabilità che non dovrebbero competere loro”, spiega. Il nodo non sta tanto nella regolamentazione “quanto piuttosto nel carente controllo ex-post da parte dell’ispettorato del lavoro“. Senza dimenticare il tema degli scarsi incentivi, visto che per il selezionatore una parte della soluzione potrebbe consistere nel “concedere alle aziende sgravi fiscali per i primi due anni di assunzione”.

In questo quadro, un salario minimo per legge nella prospettiva di Danzi rappresenta un “traguardo necessario nella misura in cui abbiamo una cultura al ribasso”. Anche se, spiega l’esperto di risorse umane, gli ostacoli per approdare a una norma di questo tipo sono molteplici: “Non solo abbiamo una lobby degli industriali che detta da anni l’agenda politica in materia di mercato occupazionale, ma gli stessi sindacati sono deboli e non sufficientemente moderni”. “Questo non significa, però, che le sigle vedano l’introduzione di uno stipendio di base come ridimensionamento del loro potere di contrattazione: ci sono tanti altri temi sul tavolo per cui le rappresentanze dei lavoratori devono farsi sentire, dalla sicurezza alla qualità del lavoro”.

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