Soldi a quella che era considerata la cassaforte della corrente politica di Matteo Renzi. Donazioni, in certi casi generose, alla fondazione che ha finanziato alcune edizioni della Leopolda e ha accompagnato l’ex premier durante la scalata alla segreteria del Pd e l’entrata a Palazzo Chigi. È questo il cuore dell’indagine della procura di Firenze sulla fondazione Open, che secondo l’accusa era diretta dallo stesso ex segretario del Pd. I pm Luca Turco e Antonino Nastasi hanno inviato un avviso di conclusione indagini a undici persone e quattro società contestando, a vario titolo, il finanziamento illecito ai partiti, la corruzione, il riciclaggio, il traffico di influenze. Gli indagati ora hanno venti giorni per farsi interrogare o presentare memorie e documenti. Poi i magistrati potrebbero chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione. L’indagine è nota alle cronache dal settembre del 2019, quando la procura delegò alla Guardia di Finanza decine di perquisizioni ai finanziatori della stessa Open in varie città italiane.

Gli indagati e le accuse – Coinvolti nell’inchiesta, seppur con contestazioni diverse, ci sono tutti i più alti esponenti del cosiddetto Giglio Magico: l’ex premier Renzi, l’ex ministra e attuale capogruppo di Italia viva alla Camera Maria Elena Boschi, l’ex sottosegretario e attuale deputato del Pd Luca Lotti, l’avvocato Alberto Bianchi – già presidente di Open – e l’imprenditore Marco Carrai. I pm hanno fatto notificare gli avvisi anche a Patrizio Donnini, Alfonso Toto, Riccardo Maestrelli, Carmine Ansalone, Giovanni Caruci, Pietro Di Lorenzo. Avvisi di chiusura indagine anche a quattro società: la Toto Costruzioni, la Immobil Green, la British American Tobacco Italia spa e la Irbm spa (già Irbm Science park spa). Secondo i magistrati della procura fiorentina la Fondazione Open avrebbe agito come l’articolazione di un partito e tra il 2012 e il 2018 avrebbe ricevuto “in violazione della normativa” sul finanziamento ai partiti circa 3,5 milioni di euro, spesi almeno in parte per sostenere direttamente l’attività politica della corrente renziana del Pd. Va detto che per due volte la Cassazione ha annullato il provvedimento di sequestro dei documenti e del pc di Carrai, non considerando provato che la Fondazione Open agisse come un’articolazione di partito. La procura, però, ne rimane convinta e il Riesame si è espresso nuovamente sulla stessa lunghezza d’onda lo scorso settembre.

Dal 7 novembre 2014 all’11 luglio 2018, stando all’avviso di conclusione indagini, la Fondazione ha ricevuto 3.567.562 euro. Una lunga lista di finanziatori individuati dalla Guardia di finanza, alcuni dei quali – stando al pm Antonino Nastasi che firma le 15 pagine insieme al procuratore aggiunto Luca Turco e al procuratore capo Giuseppe Creazzo – avrebbero corrotto Luca Lotti perché nella sua carica segretario del Comitato Interministeriale per la programmazione economica li agevolasse nei rispettivi settori.

Renzi: “Nessun illecito, tutto tracciato” – Renzi ha subito reagito alla notizia della chiusura dell’inchiesta: “Dopo due anni di incessanti indagini, perquisizioni giudicate illegittime dalla Cassazione, veline illegalmente passate ai giornali finisce il monologo dell’accusa – attacca il leader d’Italia viva – Finalmente arriva il momento in cui si passa dalla fogna giustizialista alla civiltà del dibattimento. E lì contano finalmente i fatti e il diritto. Alla fine di questa scandalosa storia emergerà la verità: non c’è nessun finanziamento illecito ai partiti perché tutto è bonificato e tracciato. La Leopolda – del resto – non era la manifestazione di una corrente o di una parte del Pd, ma un luogo di libertà, senza bandiere e con tutti i finanziamenti previsti dalla legge sulle fondazioni. Quando il giudice penale vuole decidere le forme della politica siamo davanti a uno sconfinamento pericoloso per la separazione dei poteri. Loro vogliono un processo politico alla politica, noi chiederemo giustizia nelle aule della giustizia”.

Le accuse al Giglio magico: Open “diretta” da Renzi – Nell’avviso di conclusione indagini c’è scritto che Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi erano “componenti del consiglio direttivo della Fondazione Open, riferibile a Renzi Matteo (e da lui diretta)”. E dunque per i pm all’ex premier viene contestato il reato di finanziamento illecito ai partiti come direttore “di fatto” della stessa fondazione. Renzi, Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi sono indagati per l’ipotesi di reato di finanziamento illecito ai partiti perché “ricevevano, in violazione della normativa citata, i seguenti contributi di denaro che i finanziatori consegnavano alla Fondazione Open; somme utilizzate per sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi e della corrente renziana”. Si tratta, come detto, di un totale di 3.567.562 euro dal 7 novembre 2014 all’11 luglio 2018. Solo nel 2016 1,4 milioni. Nel lungo elenco di finanziatori, tra i più generosi – estranei alle indagini – c’è la società Moby, che nel 2015 ha dato 100mila euro, e Vincenzo Onorato, patron della stessa azienda di collegamenti marittimi, che ha bonificato 50mila euro nel 2016. Molto generose anche le donazioni di Tci telecomunicazioni Italia (200mila nel 2017 e 300mila nel 2018) e Tci elettromeccanica srl (200mila nel 2017 e 200mila nel 2018). Nell’elenco anche i bonifici di Getra power e la Getra distribution che versano a Open rispettivamente 75mila euro il 13 ottobre 2016: quattro mesi prima Renzi aveva visitato gli stabilimenti di Marcianise. Dallo stampatore Vittorio Farina, invece, sono arrivati 200mila euro divisi in 2 tranche da 50mila nel dicembre del 2016 e una da 100mila nel maggio del 2017. Farina, noto per i suoi vecchi legami col faccendiere Luigi Bisignani, nel marzo scorso è finito ai domiciliari per una vicenda legata a una fornitura di mascherine non conformi: era già stato arrestato nel 2017 per bancarotta fraudolenta,

La presunta corruzione nell’affare del tabacco – La società British American Tobacco, poi, ha donato poco più di 253mila euro in totale negli anni 2014, 2015 e 2017. Proprio per la vicenda Bat– la società è indagata per la legge 231 – a Lotti e Bianchi viene contestata la corruzione per l’esercizio della funzione. A Lotti, che era segretario del Cipe all’epoca in cui Renzi stava a Palazzo Chigi, si contesta di essersi “ripetutamente adoperato, nel periodo temporale 2014 – 2017, in relazione a disposizioni normative di interesse per la spa British American Tobacco Italia spa (delega fiscale 2014 in materia di accise sui tabacchi lavorati, procedura comunitaria 2015 relativa al c.d. ‘pacchetto generico‘, emendamenti a legge di bilancio 2016, emendamento onere fiscale minimo legge bilancio 2017)”. Sempre per questa vicenda sono indagati Giovanni Caucci e Carmine Gianluca Ansalone, rispettivamente vice presidente del consiglio di amministrazione e responsabile dell’ufficio relazioni esterne della società, per l’ipotizzato finanziamento illecito. Sempre per la questione Bat la procura rileva una contestazione anche all’ex presidente dei Open: Alberto Bianchi per gli inquirenti avrebbe emesso una fattura falsa (con data 3 agosto 2016) dell’importo di 83.200,00, ma in realtà avrebbe versato il ricavato (al netto delle imposte) alla Fondazione Open per nascondere la donazione.

L’altra presunta corruzione e le leggi a favore di Toto – Sempre Lotti è accusato perché nell’esercizio delle sue funzioni si sarebbe “ripetutamente adoperato, nel periodo temporale 2014 – giugno 2018, affinchè venissero approvate dal Parlamento disposizioni normative favorevoli al gruppo Toto”, titolare di concessioni autostradali. In cambio di queste ‘attenzioni’ è accusato di aver ottenuto finanziamenti per la fondazione. In particolare, come “ricompensa” per l’operato di Lotti, il gruppo Toto avrebbe versato all’allora presidente di Open, Bianchi, 801.600 euro a fronte di una “prestazione professionale fittizia“. Di questa somma, Bianchi avrebbe poi versato 200.000 euro alla Open e altri 200.000 al comitato per il Sì al referendum sulla riforma costituzionale. Per quest’episodio oltre a Lotti sono accusati di corruzione Bianchi, l’imprenditore Patrizio Donnini e Alfonso Toto, quale referente della Toto Costruzioni. Sempre in relazione allo stesso episodio, a Toto viene contestato anche il reato di finanziamento illecito ai partiti. Sia Alfonso Toto che Patrizio Donnini inoltre devono rispondere dell’accusa di traffico di influenze illecite in concorso: per l’accusa, Donnini, si sarebbe fatto pagare da Toto circa un milione di euro “sfruttando relazioni esistenti con Lotti Luca”. Nell’avviso di conclusione indagini si legge che l’indagato “indebitamente si faceva dare da Toto, come prezzo della propria mediazione illecita verso il predetto pubblico ufficiale e per remunerare lo stesso in relazione all’esercizio delle sue funzioni (con riguardo all’approvazione da parte del Parlamento di disposizioni normative favorevoli al gruppo Toto), la somma di euro 1.030.000“. Il denaro, sostengono i pm, fu corrisposto attraverso Renexia spa (gruppo Toto) alla Immobil Green srl amministrata da Donnini. Che è accusato anche di autoriciclaggio: per mascherare la provenienza dei soldi avrebbe impiegato parte delle somma ricevuta in due società attive nel settore del turismo e dell’immobiliare.

Il capitolo Maestrelli – Tra gli indagati c’è anche Riccardo Maestrelli, l’imprenditore nominato dal governo Renzi nel cda alla Cassa depositi e prestiti nel 2015 e il cui nome era emerso per il prestito ricevuto dal senatore per l’acquisto della villa a Firenze. Prestito poi restituito: in ogni caso questa vicenda è estranea all’indagine. I pm di Firenze contestano all’imprenditore il finanziamento illecito per tre versamenti alla Open attraverso tre società: la Framafruit per 70mila euro, la Tirrenofruit per 50mila euro, la Fondiaria Mape per 30mila euro. Tutte donazioni avvenute tra il 22 e 23 febbraio del 2018. Denaro utilizzano secondo i pm “per acquistare beni e servizi destinati a Renzi”.

La tv scientifica e il traffico di influenze – L’ultimo capitolo della chiusura indagini ha come protagonisti ancora l’avvocato Bianchi e Pietro Di Lorenzo. Secondo gli inquirenti l’ex presidente di Open – sfruttando la sua relazione con Lotti – si faceva dare da Di Lorenzo “come prezzo della propria mediazione illecita” 130mila euro tramite la società Irbm tra l’ottobre del 2016 e il giugno del 2017. Una mediazione che avrebbero dovuto riguardare l’erogazione di finanziamenti pubblici per la realizzazione di una tv scientifica su piattaforma digitale e satellitare in favore del consorzio Cnccs (Collezione nazionale dei composti chimici e centro screening) partecipato dalla stessa Irbm e dal Consiglio nazionale delle Ricerche e dll’Istituto superiore di Sanità. I 130mila euro, stando ai calcoli delle Fiamme gialle, sono stati versati in cinque tranche: tre da 30mila euro e due da 20mila.

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