Salvatore Buzzi e Massimo Carminati sono arrivati insieme, Marcello De Vito poco dopo. Luca Palamara, invece, aveva già firmato ma è passato a salutare: ha stretto mani e si è concesso ai selfie, d’altra parte è pur sempre in campagna elettorale. Ecco chi sono i sostenitori dei referendum sulla giustizia promossi dalla Lega e dai Radicali. Gli imputati principali di Mondo di Mezzo, l’ex pm al centro dell’inchiesta che ha terremotato il mondo della magistratura, il presidente del consiglio comunale di Roma sotto inchiesta per corruzione. Tutti riuniti allo stesso tavolo, cioè il gazebo del quotidiano Il Riformista a Roma. A raccontare di questa reunion – con un articolo dai toni quasi trionfalistici – è lo stesso giornale di Alfredo Romeo, l’imprenditore al centro del caso Consip, a giudizio a Napoli per associazione a delinquere, frode in pubbliche forniture, traffico di influenze.

“Da dietro le quinte osserva la scena l’editore, Alfredo Romeo”, si legge nell’articolo che ha fatto la conta dei personaggi noti alle cronache giudiziarie arrivati al gazebo per sostenere i referendum tanto cari a Matteo Salvini: sei quesiti che inseriscono – tra le altre cose – limiti alla custodia cautelare e rimuovono l’incandidabilità per i politici condannati prevista dalla legge Severino. Troppo per Lucia Annibali, deputata di Italia viva, che passa dal gazebo ma appone solo per cinque quesiti. “Ho perplessità su quello relativo alla custodia cautelare, però sostenere la battaglia dei referendum è utile”, dice la deputata. “È doveroso firmare tutti i quesiti”, ribatte invece Italo Bocchino, già parlamentare finiano ai tempi di Futuro e Libertà, poi consulente di Romeo, con il quale è finito a processo a Napoli.

Gli altri invece mettono sei firme. Pure Buzzi e Carminati che arrivano insieme, da vecchi amici. “Con il documento in mano si mettono in fila per aderire ai referendum”, spiega entusiasta il Riformista. Per la procura di Roma l’ex re delle cooperative rosse e l’ex estremista nero stavano ai vertici di Mafia capitale. La Cassazione, però, annullando la sentenza d’appello e ordinando un nuovo processo solo per ricalcolare le pene, ha escluso che si trattasse di un’associazione criminale di stampo mafioso. Anzi non era neanche un’associazione criminale unica ma due distinte associazioni per delinquere. “L’inchiesta che ha travolto me e tanti altri, distruggendo le nostre cooperative, si è rivelata un flop. Serve una separazione delle carriere e la responsabilità civile dei magistrati”, ci tiene a dichiarare Buzzi. Il flop di cui parla, però, finora gli è costato una condanna a dodici anni e dieci mesi nel secondo processo d’Appello ordinato dalla Cassazione per rideterminare le pene.

La prima condanna per Buzzi, invece, risale a più di trent’anni fa: è il 1980 quando il futuro ras delle cooperative rosse, all’epoca dipendente di banca di 25 anni, ammazza a coltellate un altro giovane. Era un suo complice: Buzzi rubava assegni in banca e li girava al sodale, che li incassava. Poi però il complice comincia a ricattarlo: minaccia di raccontare tutto. I due si danno un appuntamento per chiarirsi, ma il chiarimento finisce a coltellate: “L’ho disarmato per difendermi e poi ho perso la testa”, dice Buzzi, che verrà condannato a 15 anni. In carcere diventa un detenuto modello: si laurea col massimo dei voti, fonda quella che sarà la sua macchina da soldi, la coop 29 giugno. Fa sei anni di galera, due in semilibertà, uno e mezzo in libertà condizionale. Quindi grazie all’indulto del 1991 e poi alla grazia concessa nel 1994 da Oscar Luigi Scalfaro, torna in libertà.

Sempre grazie a una serie di indulti – ben tre – Carminati riemerge dalle varie condanne collezionate negli anni anni ’80 e ’90. Porto illegale di armi, la ricettazione, le lesioni personali, le rapine: nell’arco di un trentennio l’ex esponente dei Nar entra ed esce dal carcere ma alla fine riesce sempre a evitare condanne pesanti. Si salva non solo nelle aule di giustizia ma pure fuori: è il 20 aprile del 1981 quando tenta di scappare verso la Svizzera insieme ad altri due estremisti neri. Al valico del Gaggiolo, in provincia di Varese, li aspetta la polizia che apre il fuoco. Gli altri due ne escono senza un graffio, lui viene ferito gravemente: operato più volte alla fine perde un occhio e si guadagna l’ennesimo soprannome, er Cecato. Lo spavento per la tragedia sfiorata non lo riporta sulla retta via. E’ il 1999 quando mette a segno il suo colpo più noto: quello al caveau della banca nella cittadella giudiziaria di Roma. Persino la pena per quella rapina verrà indultata nel 2006. In quelle cassette di sicurezza nei sotterranei di piazzale Clodio giudici e avvocati della capitale custodiscono beni e segreti. Secondo chi indaga Carminati voleva mettere le mani su alcune carte riservate. “Ho preso i soldi al caveau fra un documento e l’altro“, dirà il diretto interessato, durante l’ultimo processo che lo ha visto imputato. I giornali parlavano ancora di Mafia capitale: per la Cassazione, però, a Roma al massimo si può parlare di Mondo di mezzo, cioè quello che era il nome originario dell’inchiesta. A ispirarlo era stato l’ormai celebre manifesto pronunciato da Carminati, intercettato. “È la teoria del mondo di mezzo, compà. Ci stanno, come se dice, i vivi sopra e li morti sotto e noi stamo ner mezzo… Ce sta un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano e dici: cazzo, com’è possibile che… un domani io posso stare a cena con Berlusconi?”.

Chi a cena con l’uomo di Arcore andrebbe volentieri è probabilmente Marcello De Vito, presidente dell’Assemblea capitolina e volto storico dei 5 stelle a Roma. Almeno fino al 20 marzo del 2019: quel giorno viene arrestato con l’accusa di corruzione. Secondo la procura ha ottenuto tangenti dal costruttore Luca Parnasi, sotto forma di incarichi per un avvocato. Per questo motivo i pm hanno chiesto il processo con rito immediato. Da parte sua De Vito è rimasto in sella alla poltrona più alta del consiglio comunale capitolino, e dopo aver lasciato i 5 stelle è passato nei ranghi di Forza Italia, che lo hanno ricandidato al consiglio comunale. Il giorno del cambio di casacca ha definito Berlusconi “un grande innovatore della scena politica italiana”. Una dichiarazione abbastanza lontana dai tempi in cui De Vito portava le arance in Campidoglio: avevano appena arrestato Buzzi e Carminati. Oggi i tre condividono le stesse battaglie.

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