Un governo sostenuto dalla quasi totalità del Parlamento potrebbe scegliere la via della fiducia per la riforma della giustizia penale. Alla fine Mario Draghi e Marta Cartabia lo ammettono: la riforma della giustizia penale va cambiata. Anzi: le preoccupazioni sull’improcedibilità, cioè il meccanismo che fa “morire” i processi in Appello sono “da prendere in considerazione“. E dunque il premier e la guardasigilli aprono a modifiche. Ma sullo sfondo resta appunto lo spettro della fiducia. A chiedere al Consiglio dei ministri di autorizzarla è stato lo stesso presidente del consiglio, che quindi – come già era avvenuto l’8 luglio scorso quando era intervenuto personalmente affiché il Cdm licenziasse la legge delega – anche questa volta ha ottenuto il via libera all’uninamità dal suo esecutivo.

Poi, subito dopo, è comparso in conferenza stampa insieme alla guardasigilli. “C’è stato un testo approvato all’unanimità in Cdm e questo è un punto di partenza, siamo aperti a miglioramenti di carattere tecnico, si tratterà di tornare in consiglio dei ministri”, dice il premier. Un scelta che sembra una minaccia. Draghi però mette le mani avanti: “Chiedere la fiducia può avere delle conseguenze diverse prima del semestre bianco o durante il semestre bianco, ma la diversità è molto sopravvalutata. Chiederla cinque o sei giorni prima è come chiederla durante, perché i tempi per organizzare una consultazione elettorale non ci sarebbero comunque. Una riforma come quella della giustizia deve essere condivisa ma non è giusto minacciare un evento, la consultazione elettorale, se non la sia approva”.

Insomma il premier nega che lo spettro della fiducia sia un argomento di minaccia sulle forze di maggioranza. Ma allo stesso tempo fa ricorso a un mezzo che eviterebbe alla riforma di essere impallinata nel Vietnam parlamentare: alla commissione Giustizia della Camera i partiti hanno depositato più di 1.600 emendamenti. Non ci solo quelli dei 5 stelle, ma pure quelli di Italia viva, Forza Italia e Lega che modificano la norma in senso opposto. “C’è tutta la buona volontà ad accogliere emendamenti che siano di carattere tecnico e non stravolgano l’impianto della riforma e siano condivisi. Non mi riferirei solo agli emendamenti di una parte, perché ci sono anche altre parti”, avverte l’ex presidente della Bce. Come dire: o si trova un accordo o si va a colpi di fiducia. Evidentemente, però, al premier devono essere fischiate le orecchie negli ultimi giorni, visto che importanti magistrati antimafia – ma anche la sesta commissione del Csm – hanno accusato la norma del suo governo di voler salvare i colpevoli. “Nessuno vuole sacche di impunità, bene processi rapidi e tutti i colpevoli puniti, è bene mettere in chiaro da che parte stiamo. Il testo della riforma della giustizia è stato approvato dal cdm poi faremo di tutto per arrivare ad un testo condiviso”, si è giustificato l’inquilino di Palazzo Chigi. La legge così come è, però, ha proprio quell’effetto: produrre impunità. Colpa del meccanismo dell’improcedibilità che fa morire i processi d’appello se non si concludono in due anni e in Cassazione entro uno.

Dopo l’incontro con Giuseppe Conte, dunque, adesso si aprirà una trattativa per modificare la riforma e produrre un maxi emendamento sul quale – a quel punto – verrà posta la fiducia. Bisognerà capire, però, di che tipo di modifiche si tratterà. Certo è oltre a Draghi pure la guardasigilli, in conferenza stampa, sembra aver smussato la sua posizione. Dopo aver ignorato le critiche di Nicola Gratteri e Federico Cafiero De Raho, dopo aver negato davanti al Parlamento che con la sua riforma “processi di mafia e terrorismo andranno in fumo” – salvo essere smentita dal codice penale e dal suo stesso testo – oggi la guardasigilli ha riconosciuto che “da più voci è stata espressa preoccupazione, che mi pare vada presa in considerazione seriamente, su un punto specifico: data la criticità di alcune corte di appello, bisogna evitare che l’impatto di una novità come quella introdotta con l’improcedibilità non provochi un’interruzione di procedimenti importanti”. E dunque l’inquilina di via Arenula riconosce parzliamente gli effetti nefasti di quella che è stata chiamata “nuova prescrizione“. Anche se subito dopo ha aggiunto: “Questa è una preoccupazione molto seria che anche il governo ha avuto fin dall’inizio, ed è il terreno su cui si stanno valutando questi accorgimento tecnici“. Per la verità, però, è la prima volta che si ha notizie di “accorgimenti” allo studio del governo per modificare la norma “ammazzaprocessi“. Ma come si dice: meglio tardi che mai.

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