“Una sponda dall’Ue al progetto Cartabia”, sostiene Repubblica. “Riforma della giustizia? L’Ue loda i progressi italiani“, rincara Il Sole 24 ore. “Le toghe in rivolta contro la riforma, ma l’Ue la blinda“, si scalda Il Giornale. Mentre si moltiplicano le prese di posizione nella magistratura (e non solo) di chi mette in allarme sui rischi della riforma Cartabia, i principali quotidiani corrono in aiuto del governo Draghi e usano la relazione dello Stato di diritto 2021 dell’Unione europea, che fa il quadro della situazione da settembre scorso a oggi, per sostenere che ci sarebbe l’appoggio e addirittura la benedizione di Bruxelles al progetto di via Arenula. Peccato però che il documento della commissione Ue, a proposito degli interventi per una migliore efficienza dei processi penali, parte ricordando il disegno di legge delega Bonafede di marzo 2020.

Ma non solo, il rapporto va oltre e promuove l’intervento sulla prescrizione dell’ex ministro M5s: “Nel 2019”, è la prima segnalazione (nota 96, p.11), “una nuova normativa ha esteso i periodi di prescrizione e ha inasprito le sanzioni per corruzione“. E ancora, alla nota 101 a pag.12, parlando del fatto che “risultati positivi” si sono registrati “nel contenimento della durata dei processi presso gli organi giurisdizionali di primo grado e la Corte di cassazione”, si osserva: “Rilevante in questo contesto è anche la riforma, entrata in vigore dal 2020, che prevede l’interruzione della prescrizione dopo una sentenza di primo grado, in linea con una raccomandazione specifica per paese formulata da tempo“. Così se da una parte il documento cita tra i progressi compiuti dal sistema giuridico del nostro Paese proprio l’intervento della Bonafede, dall’altro accenna alle norme di Cartabia solo per dare conto che il Cdm ha approvato l’8 luglio scorso “il testo della riforma da presentare al Parlamento, compresa una nuova proposta sui termini di prescrizione“: nessun giudizio, solo un dato di cronaca recentissima, arrivata probabilmente quando il rapporto era praticamente chiuso. L’unico riferimento è alle proposte della commissione Lattanzi, presentate a fine maggio scorso, e poi non interamente accolte dalla Guardasigilli. Ma niente di più. Volendo poi scorrere ancora il rapporto, la commissione, parlando delle misure anticorruzione, in riferimento alla legge Spazzacorrotti di Bonafede, parla di “recenti e importanti sviluppi legislativi relativi al quadro giuridico“. E riconosce che “l’Italia continua a rafforzare il proprio quadro legislativo per combattere la corruzione e i reati ad essa connessi”.

Nonostante ciò i quotidiani si preoccupano di intervenire in sostegno di Draghi e della Guardasigilli. Repubblica parla de “l’ultima sponda Ue” per la ministra della Giustizia. Ad un certo punto ammette anche, tra le righe, che il rapporto non riguarda la riforma Cartabia “ovviamente”, ma, dice, “alcuni passaggi sono diretti a mettere in evidenza le questioni sollevate dalla Guardasigilli italiana”. Il Sole 24 ore, poche pagine dopo un articolo sull'”effetto Draghi sul Parlamento” che avrebbe permesso di raggiungere grandi livelli di produttività, parla genericamente di “progressi italiani” che sono stati osservati da Bruxelles in Italia: nel titolo si lega il giudizio alla riforma della Giustizia della Cartabia, ma nel testo si evita. Infine per il Giornale la ministra Cartabia “non torna indietro” nonostante “la levata di scudi delle toghe” con l’appoggio di Pd e M5s e “il fuoco di fila dei magistrati” e procede “come reclama l’Ue”.

In realtà, a volerla dire tutta e come risulta chiaro leggendo il report, l’Ue reclama ben altro e la “presunta” riforma, che vara un sistema d’improcedibilità per i procedimenti d’appello che durano più di due o tre anni, avrebbe effetti opposti a quelli auspicati dai tecnici europei: come già denunciato da il Fatto quotidiano infatti, il provvedimento avrebbe come diretta conseguenza quella di provocare più ricorsi in appello e soprattutto da parte degli imputati che sono in grado di pagarsi gli avvocati difensori migliori. Quindi ci sarebbe un rischio più alto di non garantire che sia fatta giustizia, facendo aumentare l’impunità: gli effetti principali della nuova prescrizione voluta da Cartabia e approvata dal cdm, sono insomma l’opposto di quanto richiesto dalla commissione Ue. Che infatti ieri, nel rapporto sullo Stato dell’Unione ha promosso la riforma Bonafede sulla prescrizione. E non è la prima volta. Tanto per citare uno degli ultimi giudizi, basta risalire a febbraio 2017 quando la commissione Ue scrisse che uno degli “squilibri” italiani si manifesta proprio nella lotta contro la corruzione: “Il sistema attuale ostacola considerevolmente la repressione della corruzione, non da ultimo perché incentiva tattiche dilatorie da parte degli avvocati”, scriveva l’Ue analizzando i dati del ministero della Giustizia e “l’alta percentuale di cause” che “cade in prescrizione dopo la condanna di primo grado”. Era prima dello stop voluto dalla Bonafede, una riforma che l’Ue definì “benvenuta”.

Cosa dice il rapporto sullo Stato di diritto Ue – Tutte le sintesi del rapporto si sono limitate a citare le prime righe: “Il sistema giudiziario italiano continua ad essere oggetto di una serie di riforme intese a migliorarne la qualità e l’efficienza, e il Parlamento sta ancora discutendo progetti di legge per snellire le procedure civili e penali”, era l’esordio. Ma difficile attribuire qui il riferimento alla riforma Cartabia, visto che, non solo non viene direttamente nominata, ma a essere promosso nel corso del documento è solo lo stop alla prescrizione di Bonafede.

“Si osserva una sempre maggiore digitalizzazione del sistema giudiziario”, continua il testo che conta 26 pagine in totale, “e un aumento delle risorse umane nell’ottica di un’ulteriore espansione. Tali misure sono particolarmente importanti per affrontare le gravi difficoltà legate all’efficienza del sistema giudiziario, compresi l’arretrato e la durata dei procedimenti”. A questo proposito, a onore del vero, proprio la ministra Cartabia ha accantonato la proposta del suo predecessore Bonafede di trattare davanti a un solo giudice pure in secondo grado tutti i processi celebrati dal monocratico in primo: una proposta che avrebbe permesso di ottimizzare le risorse, come chiede l’Ue, e che il governo Draghi ha accantonato.

Il documento poi, non si limita ai progressi, ma parla anche dei ritardi del Parlamento e del governo. Ad esempio si sofferma sul progetto di legge sul “Consiglio superiore della magistratura (CSM) e altri componenti del sistema giudiziario, volto a rafforzare l’indipendenza della magistratura” che “è ancora in discussione al Parlamento. “È importante che tali riforme tengano conto delle raccomandazioni del Consiglio d’Europa“, si legge.

Si parla poi appunto degli “eccessivi tempi di esaurimento dei procedimenti, in particolare a livello di appello, continuano a rappresentare un ostacolo per la lotta contro la corruzione, e sono ancora pendenti in Parlamento riforme globali intese a razionalizzare le procedure penali”. A seguito del Rapporto sullo Stato di diritto 2020, il governo ha programmato misure straordinarie, tra cui l’assunzione di circa 16.500 laureati. Anche questo è uno dei punti contestati della riforma Cartabia. Oggi l’Italia è tra i Paesi dell’Unione europea con meno magistrati: sono 12 per 100mila abitanti. Il Recovery plan stanzia circa tre miliardi per il settore giustizia, prevede l’assunzione di 16mila dipendenti, ma di nessun magistrato.

Molte di queste raccomandazioni sulle assunzioni erano già contenute nello Scoreboard sulla Giustizia pubblicato dalla Commissione Ue qualche settimana fa. Questi cambiamenti, tuttavia, non hanno modificato il livello di indipendenza giudiziaria percepita in Italia, che rimane basso. Nonostante un leggero aumento rispetto allo scorso anno, solo il 34% del pubblico in generale lo considera “abbastanza o molto buono”. Preoccupazione dell’Ue è poi segnalare che “sono in sospeso proposte e modifiche legislative volte a rafforzare le misure di prevenzione contro la corruzione, e riguardanti anche i conflitti di interesse, le attività di lobbying e la pratica detta “porte girevoli” (in cui ex funzionari pubblici assumono incarichi presso soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione). Un’altra legge che il governo Draghi o la Cartabia stessa non hanno mai citato tra quelle prioritarie. Infine si parla del sistema mediatico e di come “la prevista riforma delle leggi sulla diffamazione è ancora pendente in Parlamento, e sussistono preoccupazioni in merito all’indipendenza politica dei media italiani, specialmente nel settore audiovisivo”.

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