Le indagini sulla strage del Mottarone – 14 morti tra cui due bambini – proseguono e in procura si è tenuto un incontro tra inquirenti, investigatori dell’Arma dei carabinieri e il consulente nominato dalla procura, il professor Giorgio Chiandussi del Politecnico di Torino, a mettere nero su bianco gli elementi tecnici su cui verterà il quesito della consulenza nella forma dell’accertamento irripetibile. Finito questo lavoro potrebbero essere nuove iscrizioni nel registro degli indagati dopo quelle del caposervizio Gabriele Tadini (ai domiciliari), il direttore tecnico Enrico Perocchio e il gestore Luigi Nerini. Questi ultimi due scarcerati per decisione della giudice per le indagini preliminari di Verbania. otto la lente c’è l’operatore che su ordine di Tadini non tolse i ceppi dai freni di emergenza quel 23 maggio, ma anche altri dipendenti e manutentori, ditte comprese.

“Noi operai siamo convinti che non c’entriamo nulla, dicono che ci dovevamo rifiutare di mettere i ceppi, ma noi prendiamo ordini dal caposervizio e nessuno si aspettava un pericolo del genere” ha spiegato Emanuele Rossi, operatore della funivia del Mottarrone che era in servizio quel 23 maggio e le cui dichiarazioni a verbale sono già agli atti dell’inchiesta e contenute nell’ordinanza del gip. Rossi ha aggiunto: “I ceppi, come ho spiegato agli inquirenti, erano su da 3 settimane”. L’operatore ha detto inoltre di non poter sapere con certezza se il gestore Nerini e l’ingegnere Perocchio fossero a conoscenza dell’uso dei forchettoni da parte di Tadini per “bypassare il problema” ai freni di emergenza. “Non posso sapere – ha detto – io facevo il mio, io e i miei colleghi non possiamo addossarci la colpa, erano loro i responsabili non noi. Dicono che dovevamo rifiutarci di mettere i ceppi ma non sapevamo ci fosse un pericolo del genere”.

Il problema è stato “bypassato, tutti sapevano – ha aggiunto l’operatore della funivia – non si può scaricare la colpa sugli operai. Io ero tranquillo non pensavo a una pericolosità del genere. Il responsabile – ha aggiunto – era il caposervizio, se lui o l’ingegnere mi dice di fare qualcosa io la faccio”. E ancora: “Spero di non finire indagato – ha concluso – ho la coscienza a posto, però sfido chiunque a essere tranquillo adesso. Io e miei colleghi siamo stati i primi a salire lassù, a un mio collega è morto tra le braccia un ragazzo“.

Sarà la consulenza a stabilire la cause dell’incidente. Bisognerà andare a verificare, spiega un investigatore, la presunta “connessione” tra i malfunzionamenti ai freni, di cui si lamentava Tadini dicendo di averli a più riprese segnalati a Perocchio da fine aprile, e l’incidente. E se quei problemi che facevano bloccare la cabina, tanto che almeno “10 volte” in 15 giorni il caposervizio piazzò i forchettoni sulle ganasce, potessero essere un “campanello d’allarme” della debolezza del cavo che poi si spaccò, facendo volare la cabina, non più salvata dai freni di emergenza. Gli accertamenti in vista, ha spiegato la procuratrice Olimpia Bossi, sono proprio “finalizzati a capire perché la fune si è rotta e si è sfilata e se il sistema frenante aveva dei difetti”. Tema d’indagine è pure sapere se è accaduto e quando, come indicato da Tadini, il blocco della cabina dovuto alla “pressione dei freni” che scendeva “a zero”. Intanto, per metà mattinata sulle pendici del Mottarone sono attesi per un sopralluogo gli ispettori della commissione di indagine ministeriale.

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