Quasi due miliardi e mezzo. Tanto spetta alla famiglia Benetton, proprietaria del 30% di Atlantia, per la cessione di Autostrade per l’Italia al consorzio formato da Cassa depositi e prestiti con i fondi Blackstone e Macquarie. Anche se i soldi resteranno alla holding che dovrebbe utilizzare la dote per investimenti o per ridurre il debito. A dieci mesi dall’accordo del luglio 2020, l’assemblea degli azionisti della holding con una maggioranza dell’87% ha accettato un’offerta da 7,9 miliardi per l’acquisto dell’88,06% del capitale di Aspi. Dopo quasi tre anni dal crollo del ponte Morandi finisce così, almeno sul fronte aziendale (il processo è ancora in corso), il braccio di ferro tra lo Stato e i concessionari autostradali che erano responsabili della gestione e manutenzione del viadotto genovese il cui cedimento ha ucciso 43 persone. Sfumate le minacce di revoca della concessione ad Aspi arrivate dal governo Conte 1 fin dal giorno successivo alla tragedia e ribadite ancora lo scorso anno, il punto di caduta è sì l’uscita degli attuali soci dall’azienda, ma con una plusvalenza. Non a caso il titolo Atlantia è stato maglia rosa a Piazza Affari e ha chiuso la seduta a +2,84%. Per i familiari delle vittime, che avevano chiesto fino all’ultimo di interrompere la trattativa, la decisione è un nuovo colpo. “Siamo molto amareggiati. Non sono sorpresa dell’ok degli azionisti di Atlantia, sarebbe stato come rifiutare un terno al lotto – ha detto Egle Possetti, portavoce del Comitato Ricordo Vittime Ponte Morandi – Io auspico che, visto che Cdp avrà l’ultima parola, spero ci sia un ripensamento e che la contrattazione non vada avanti”.

Sul piatto 9,5 miliardi per il 100% di Aspi – Sul piatto, dopo diversi affinamenti per accontentare tutti i soci compreso il fondo speculativo britannico Tci e dopo il ballon d’essai dell’offerta di Florentino Perez, c’era una valutazione di 9,1 miliardi per il 100% di Aspi più una quota (ticking fee) del 2% annuo sul prezzo dal primo gennaio 2021 alla data del closing dell’operazione che dovrebbe cadere nel marzo 2022. In questo modo la valorizzazione sale a 9,3 miliardi. A cui vanno sommati i ristori statali per i mancati ricavi causati dal Covid, per un totale di 9,5 miliardi. L’88% vale così 7,9 miliardi. Di cui 2,38 spettano alla dinastia di Ponzano Veneto, che ha il 30,2% di Atlantia attraverso Edizione e tra 2009 e 2018 ha incassato 6 miliardi di dividendi mentre – ha calcolato l’ufficio studi e ricerche di Mediobanca – gli investimenti in manutenzione calavano da 1,1 miliardi l’anno a poco più di 500 milioni. “Le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava il tempo meno facevamo … cosi distribuiamo più utili … e Gilberto e tutta la famiglia erano contenti“, diceva, intercettato, l’ex ad di Edizione Gianni Mion parlando della famiglia Benetton.

La proposta di Cdp e soci è stata approvata con il voto favorevole di 1.129 azionisti, l’86,86% del capitale sociale rappresentato in assemblea, mentre in 60 hanno detto no. I tre proxy advisor (Glass Lewis, Iss e Frontis), società che consigliano i fondi su come votare in assemblea, si erano del resto espressi in maniera unanime a favore del sì all’offerta. Anche perché, secondo S&P, a valle dell’operazione è probabile che i rating di Atlantia e Aspi vengano scorporati perché i rischi finanziari a cui Aspi è attualmente soggetta “diminuirebbero probabilmente notevolmente” (anche se “non è chiaro quanta esposizione rimarrebbe al rischio per il crollo del ponte di Genova”) e per la holding Atlantia i proventi della cessione supererebbero “di gran lunga” il suo attuale debito estero, lasciando spazio a potenziali acquisizioni. La prossima tappa è la riunione del cda, che si terrà il 10 giugno, per dare il via libera agli accordi vincolanti con Cdp. La firma è attesa entro fine mese. Poi dovrà essere finalmente approvato il nuovo Piano economico finanziario, il cui iter è in stallo dallo scorso anno in attesa della cessione.

La revoca sfumata e le trattative sul prezzo – Nonostante la contestata norma sul taglio da 23 a 7 miliardi delle penali in caso di revoca, inserita nel decreto Milleproroghe a fine 2019, l’iter per togliere la concessione ad Aspi si è rivelato molto più complicato delle attese sul piano giuridico. E la stessa Avvocatura dello Stato, in un parere reso all’inizio del 2020 al governo Conte 2, ha fatto presente di non poter “escludere che, in sede giudiziaria (nazionale o sovranazionale) possa essere riconosciuto il diritto di Aspi all’integrale risarcimento”. Così la minaccia di revoca, pur sventolata ogni volta che le trattative si arenavano, ha perso credibilità. Anche perché in Atlantia, accanto alla famiglia Benetton, ci sono il fondo sovrano di Singapore Gic, le banche Hsbc e Lazard e soprattutto il fondo speculativo Tci, che si è subito appellato alla Commissione europea invocando il rispetto del contratto di concessione e ha chiarito che non avrebbe mai accettato un’offerta inferiore ai prezzi di mercato.

Così con il passare dei mesi è diventato evidente che l’uscita dei Benetton dalla società concessionaria avrebbe dovuto essere pagata cara. Garantendo alla dinastia di Ponzano un ricco incasso. Così è stato: da una valutazione iniziale di 6 miliardi per l’intera società si è arrivati ai 9,5 miliardi complessivi di oggi passando per tre rilanci, fino all’offerta finale presentata a fine marzo. Nel mezzo il tentativo di coinvolgere Atlantia nel salvataggio di Alitalia, inevitabilmente archiviato a inizio 2020 causa Covid, e laricostruzione del viadotto a spese di Autostrade. L’ultimo colpo di scena sono state le lettere di manifestazione d’interesse di Florentino Perez, che dei Benetton è socio in Abertis, mai concretizzate però in un’offerta vincolante. Tanto da far sospettare di una mossa concordata per indurre Cdp ad alzare l’offerta.

Ora la vicenda si chiude con una sostanziale vittoria dei soci di Atlantia, sul piano economico. “Capitolo chiuso!”, twitta Danilo Toninelli, senatore M5s che era ministro delle Infrastrutture al momento del crollo del Morandi, ostentando soddisfazione. “I 3mila km di Autostrade passano sotto il controllo pubblico. Finalmente d’ora in poi sicurezza e qualità del servizio prevarranno sulla smania di profitto. Avremmo preferito la revoca, ma senza il M5s non ci sarebbe neppure questo risultato intermedio”.

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