“Papà riverso su Stefano”: così Gabriella Saetta ferma, commossa, l’immagine sulla morte del padre e del fratello. Il fotogramma simbolo dell’omicidio del giudice Antonino Saetta e del figlio Stefano, uccisi il 25 settembre del 1988 su mandato di Totò Riina e Francesco Madonia, diventa il titolo di un documentario che lo riporta alla luce: L’abbraccio. Storia di Antonino e Stefano Saetta, di Davide Lorenzano. Una vicenda “incredibilmente dimenticata”, sottolinea al suo interno anche il magistrato Nino Di Matteo: eppure fu un passaggio cruciale dello scontro tra Stato e mafia. “Un messaggio all’intera categoria giudicante”, ricorda il pm.

Sono passati 33 anni da quell’assassinio misconosciuto. Il documentario, prodotto da Cristian Patanè per Bridge Film (direttore della fotografia Daniele Ciprì) ripercorre la vita del giudice e del figlio fino a quel drammatico 25 settembre. Quel giorno Saetta, 65 anni, era stato a Canicattì per il battesimo di un nipote. Era in programma che rientrasse a Palermo il giorno successivo, ma inaspettatamente imboccò la strada per il capoluogo la sera stessa. Insieme a lui il figlio Stefano, di 35 anni, col quale viveva in simbiosi. Furono affiancati sulla strada statale che da Agrigento porta a Caltanissetta. Più di 40 colpi di pistola, compresi quelli decisivi per assicurarsi della la morte, come racconta nel documentario il giornalista Carmelo Sardo, che si recò subito sul luogo dell’omicidio.

Il giudice verrà ritrovato riverso sul figlio, come in un ultimo tentativo di proteggerlo. Ma perché fu assassinato? A spiegarlo è Di Matteo, che assieme al collega Gilberto Ganassi condusse la riapertura delle indagini 5 anni dopo la prima archiviazione, fino a portare a processo il capo dei capi di Cosa Nostra, Totò Riina. “Il giudice Saetta fu avvicinato, fu oggetto di tentativi di intimidazione“, ricorda. “Di lì a poco sarebbe stato chiamato a presiedere il maxiprocesso in Appello. Aveva dato prova di essere un giudice integerrimo, inavvicinabile, evidentemente, e questo era inaccettabile per l’organizzazione mafiosa”. E ricostruisce il contesto sociale di quegli anni: “Siamo in un momento in cui Palermo è spaccata a metà: c’è una parte dell’opinione pubblica, purtroppo minoritaria, che crede nel lavoro dei giudici antimafia. E poi una Palermo diversa, quella che diffida, convinta che il maxiprocesso si sarebbe risolto in una bolla di sapone: quella dei giornalisti e degli intellettuali (o pseudo-tali) che accusano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino di essere politicizzati, di agire per interessi personali e ambizioni di fama e carriera, quella che si lamenta sul Giornale di Sicilia delle sirene delle macchine di scorta”.

Proprio in quel contesto matura l’uccisione di Rocco Chinnici, ricostruito ne L’abbraccio dalla figlia Caterina. Di fronte a una mafia che sente di essere impunibile, Saetta presiede la Corte d’Assise d’Appello a Caltanissetta confermando gli ergastoli per l’omicidio del capitano dei Carabinieri Emanuele Basile. Incorruttibile e integerrimo, il giudice, originario di Canicattì, sta per andare a presiedere la Corte d’Assise d’Appello di Palermo, dove arriverà, in secondo grado, il maxiprocesso ai boss di Cosa Nostra. Ma viene fermato prima: “Fu un omicidio strategico – spiega ancora Di Matteo – con cui l’organizzazione intese perseguire tre finalità. Quella di vendicarsi nei confronti del giudice che aveva condannato tre suoi esponenti di spicco, quella di evitare che quel giudice andasse a presiedere il maxi processo in appello, e ancor di più quella terroristico-intimidatoria: uccidere quel giudice in quel momento significava lanciare un messaggio nei confronti dell’intera categoria”.

Documenti inediti, fotografie d’epoca, filmati d’archivio dell’Istituto Luce, le immagini delle teche Rai e le testimonianze: un’ora in cui la vicenda “incredibilmente dimenticata” viene riesplorata per restituirla alla coscienza civile, alla memoria collettiva. Il documentario, che si avvale anche di una parte animata, è stato presentato fuori concorso alla 50esima edizione del Giffoni Film Festival nell’agosto del 2020, ha vinto il premio come miglior documentario al Vittoria Peace Film Festival lo scorso marzo e sarà in concorso al Benevento Festival del Cinema e della Televisione in programma a giugno.

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