La situazione è drammatica ma non ne siamo ancora pienamente consapevoli. Gli italiani sembrano non avere piena cognizione di uno scenario che, allo stato attuale, sembra inverosimile.

1. Da un mese all’altro milioni di famiglie, quasi senza reddito, potrebbero non essere più in grado di rimborsare i mutui per la casa o i prestiti per l’acquisto dell’auto.

Secondo i dati della Banca d’Italia, al 15 gennaio 2020 gli istituti di credito hanno ricevuto oltre 2,7 milioni di domande di moratoria su mutui e prestiti, per un valore complessivo di circa 300 miliardi di euro.

2. Potremmo ritrovarci nelle condizioni di non riuscire a pagare le tasse e le cartelle fiscali.

Sono oltre 9 milioni le cartelle congelate dall’8 marzo 2020 fino al 30 aprile 2021. Vanno ad alimentare un magazzino di residuo ancora da recuperare di circa 130 milioni di cartelle, avvisi di addebito e avvisi di accertamento esecutivo. I contribuenti, sia persone giuridiche che persone fisiche, con debiti sono complessivamente circa 21 milioni. Per un valore di 1000 miliardi di euro di crediti non riscossi.

3. Molte attività commerciali stanno già scomparendo e le piccole e medie imprese non sempre riusciranno a costituire tesoreria sufficiente per ripartire. Migliaia di aziende rischieranno la bancarotta e gli imprenditori che hanno rilasciato garanzie personali (fideiussioni) potranno perdere gli immobili acquistati con tanti sacrifici.

Secondo le ultime stime, in Italia si contano 5 milioni di piccole e medie imprese (Pmi). Nel 2020, a causa dell’effetto combinato del Covid e del crollo dei consumi, ne sono scomparse circa 300.000, quasi tutte (l’85%) appartenenti al segmento delle piccole attività e situate prevalentemente al Sud, a cui si aggiungono 200mila lavoratori autonomi, ovvero quei soggetti titolari di partita Iva, operanti senza alcun tipo di organizzazione societaria. Il rischio che l’escalation dei contagi da coronavirus, pur in assenza di un vero lockdown nazionale, possa essere devastante in futuro per imprese e lavoro viene sottolineato dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro nell’indagine Crisi, emergenza e lavoro nelle Pmi: secondo lo studio, due imprese su dieci di quelle tuttora in attività potrebbero chiudere nel 2021. Stiamo parlando del 20 per cento del tessuto produttivo di un paese come l’Italia, che si regge proprio sulla piccola e media impresa.

4. Nei bilanci delle banche, questa drammatica situazione si tradurrà in prestiti non pagati, crediti inesigibili, fallimenti e pignoramenti. Aumenteranno vertiginosamente i “crediti deteriorati”. La stretta creditizia sarà quattro volte più dura di quella vissuta dopo la crisi del 2008.

Banca Ifis ha stimato, sulla base dei bilanci provvisori degli istituti di credito, che l’ammontare complessivo dei Npl nel 2020 avrebbe raggiunto quota 338 miliardi di euro (+5% sul 2019). Nel 2021 le esposizioni deteriorate potrebbero salire fino a 385 miliardi, con un incremento ulteriore nel 2022.

Numeri che fanno rabbrividire, ma che gli italiani sembrano non aver ancora metabolizzato. Perché gli aiuti istituzionali e un approccio di stand-by mentale, all’insegna del “mal comune, mezzo gaudio”, non permettono al momento di prendere piena coscienza delle reali conseguenze della pandemia e del blocco dell’economia.

L’incertezza regna sovrana, alimentando un sensibile calo della fiducia che, a sua volta, induce a diffusi atteggiamenti di rigetto che intaccano la resilienza e la facoltà di reagire da soli.

È ormai chiaro quanto sperare ed insistere su promesse politiche demagogiche renda in realtà più difficile e tardivo qualunque processo di gestione autonoma, razionale ed efficace della crisi. Cosa possiamo fare, allora, rispetto al futuro che ci aspetta? Per difendersi e reagire esiste un solo modo: anticipare i tempi e agire di iniziativa.

Cosa possiamo fare noi per salvarci?

La ricerca effettuata per la stesura del mio ultimo libro Salviamoci! (Chiarelettere), basata su dati riservati provenienti da fonti interne alle banche e dagli studi di stimati professionisti, conferma che gli strumenti esistono nella legislazione del nostro paese. Ma pochi ne parlano. Perché se utilizzati metterebbero in ginocchio alcune lobby del nostro paese.

Volete un esempio? Una delle leggi che tutelano i mutuatari è relativa al cosiddetto “sovrafinanziamento”, cioè l’erogazione di un importo eccedente i limiti di prudenza di una banca, che si deve appunto tutelare da un’eventuale insolvenza del mutuatario. L’art.38 del Testo Unico Bancario, emanato con decreto legislativo nel 1993 e confermato dalla delibera del CICR (Comitato Interministeriale del Credito e del Risparmio nel 1995), ha stabilito che “il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine, per l’acquisto della prima casa ad uso abitativo, garantiti da ipoteca di primo grado su immobili” e che “l’ammontare massimo del finanziamento di credito fondiario è pari all’80 per cento del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi”.

Facciamola più semplice: ho ricevuto un mutuo di 100mila euro per l’acquisto della mia prima casa del valore di 90mila euro. In tal caso non sono state rispettate le direttive perché avrei dovuto avere, in base al valore dell’immobile, un mutuo di 72.000 euro (80% di 90.000). La legge dice che, in questo caso, il mutuo è nullo! In altri termini, chi ha sottoscritto un mutuo fondiario, con un sovrafinanziamento della banca, potrebbe non ripagare più il finanziamento stesso.

Sapete perché non se ne parla? Perché le banche sono piene zeppe di mutui sovrafinanziati. Un top manager di una primaria banca italiana, che ha voluto mantenere l’anonimato, ci ha fornito una statistica da cui emerge che il 65% dei mutui erogati tra il 2004 ed il 2015 è sovrafinanziato! Chiaro ora?

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