Entro i primi dieci giorni di maggio l’Italia doveva superare le 30 milioni di dosi somministrate dall’inizio della campagna vaccinale anti-Covid, con un ritmo stabile di almeno 500mila iniezioni quotidiane. Ma ad oggi entrambi gli obiettivi, fissati nel Piano vaccini del commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo, sono stati mancati. Il totale di inoculazioni è fermo a circa 25 milioni, mentre le 500mila dosi al giorno finora sono state raggiunte solo in quattro occasioni. La prima il 29 aprile, data cerchiata sul calendario dal generale e che sul territorio era stata recepita come uno stress test per la macchina vaccinale del Paese. Da allora il dato ha continuato a oscillare, trascinato verso il basso dalle lentezze croniche di certe Regioni (come Calabria, Sicilia e Sardegna, ancora indietro nelle iniezioni ai più anziani), ma anche dalle resistenze dei cittadini nei confronti di Astrazeneca. Vaccino di cui c’è ampia disponibilità nei magazzini e che, nonostante questo, si cerca di sponsorizzare con iniziative spot, dall’Astra day organizzato a Caserta (senza limiti di età) alla decisione del Lazio di somministrarlo dalla prossima settimana anche agli over 40. Il limite dei 60 anni in vigore finora, infatti, è sempre stato una semplice “raccomandazione” del ministero, non un obbligo. Tant’è che Figliuolo punta a rivederla per dare uno sprint alle somministrazioni, nonostante le resistenze dell’Aifa. Una situazione che ora rischia di complicare ulteriormente l’andamento della campagna vaccinale nelle regioni, di per sé già molto eterogenea, e che ancora non è supportata da una campagna di comunicazione capace di spiegare ai cittadini il perché dei continui cambi di programma sul siero.

La situazione regione per regione – Partiamo dai dati. Stando all’ultimo aggiornamento fornito dal ministero della Salute relativo al pomeriggio di martedì, sono più di 7,5 milioni i cittadini italiani che hanno completato il ciclo vaccinale, pari al 12,76% della popolazione. Ma le disparità a livello regionale e nelle varie fasce di età sono ancora tante. Se Lombardia e Toscana sono riuscite definitivamente a colmare i ritardi degli ultimi mesi con gli over 80 (in entrambi i territori mancano poche migliaia di somministrazioni per arrivare al traguardo del 100% di prima dose ai più anziani), in Calabria e Sicilia si fa ancora moltissima fatica per metterli al riparo dal rischio Covid. Qui quasi un anziano su tre non ha ancora ricevuto la prima dose, nonostante le inoculazioni per questa categoria siano partite già da mesi, mentre procedono a ritmo abbastanza spedito quelle per gli over 70 (in Calabria circa il 40% attende la prima dose, in Sicilia il 44%) e i 60enni (mancano all’appello rispettivamente il 49% e il 57%). Un paradosso che si spiega, da un lato, con le difficoltà nel raggiungere sul territorio gli anziani che sfuggono al sistema sanitario nazionale o che sono allettati, ma dall’altro anche con la decisione di certe Asl di organizzare V-day aperti a tutti pur di accelerare con le somministrazioni. La situazione non è molto diversa in Sardegna, dove il 25% degli over 90 e il 20% degli over 80 non hanno ancora ricevuto la prima dose, mentre tra i 70-79enni la percentuale di cittadini in attesa si attesta al 38% e tra gli over 60 al 60%.

Anche al Nord e al Centro non mancano le differenze. Veneto e Lazio sono sopra la media nazionale in tutte le fasce d’età, non a caso puntano ad avviare al più presto le somministrazioni per gli over 40; l’Umbria ha immunizzato 8 anziani su 10 ed è vicina al 100% di prime dosi iniettate, ma è tra le più lente (insieme alla Toscana) con gli over 60 (solo il 27% ha ricevuto almeno una dose); anche l’Emilia Romagna è leggermente indietro con i 60enni (39,8%), tuttavia è ben oltre la media nazionale con gli anziani e i 70-79enni (il 77,5% ha ricevuto una dose, il 20 ha fatto pure il richiamo). Più in difficoltà il Friuli Venezia Giulia, alle prese con adesioni al di sotto delle aspettative: qui circa il 14% degli over 80 e il 40% dei 70enni aspettano ancora la prima iniezione, così come due terzi degli over 60. Caso a parte sono le province autonome di Trento e Bolzano. In difficoltà all’inizio della campagna per le resistenze tra il personale sanitario e una maggiore presenza di antivaccinisti, ora hanno recuperato terreno e sono più avanti di tutte le altre Regioni soprattutto sugli over 50, le cui somministrazioni sono partite formalmente nel resto d’Italia solo a metà settimana scorsa. In Trentino sono poche migliaia gli anziani ancora senza protezione dal Covid, mentre tra i 70-79enni l’80% circa ha ricevuto la prima dose. Percentuale che cala al 64% tra gli over 60 e al 33 tra i 50enni. Numeri non molto diversi in Alto Adige, dove però c’è ancora un po’ di strada da fare con i più fragili (il 15% deve ancora fare la prima iniezione).

Qual è l’andamento della campagna – Una situazione molto diversificata che si riflette inevitabilmente anche sull’andamento quotidiano delle somministrazioni. Le agognate 500mila dosi al giorno, più volte promesse dal generale Figliuolo e rimandate di settimana in settimana, finora sono state raggiunte solo il 29 aprile e in altre tre occasioni. Come riportato da Our World in Data, la media mobile su 7 giorni del nostro Paese è di circa 460mila dosi ogni 24 ore. Ritmo che solo in parte è dovuto alla consueta carenza di vaccini (il commissario all’emergenza ha parlato di maggio come un mese ancora di “transizione” in attesa della vera svolta). Lo dimostra il fatto che, allo stato attuale, ci sono nei magazzini di tutta Italia quasi 2 milioni di dosi, di cui oltre un milione solo di Astrazeneca. E altre tre milioni di fiale sono in arrivo nei prossimi giorni, per un totale di circa 17 milioni di vaccini in tutto il mese. Numeri che, almeno sulla carta, permetterebbero alla macchina organizzativa nazionale di attestarsi stabilmente a quota 500mila dosi al giorno.

Figliuolo fa una nuova previsione per giugno (ma il problema sono le forniture) – Figliuolo, intervistato su La Stampa, punta però a superare quella soglia “entro giugno“, coinvolgendo “maggiormente i medici di base e le farmacie, in modo che il loro intervento passi dall’attuale regime di emergenza a una fase più strutturata”. Il generale si spinge anche a fare una previsione sull’immediato futuro: “In Italia ci sono circa 43mila medici di famiglia e 20mila farmacie. Se ogni medico inoculasse dieci vaccini al giorno, otterremmo 430mila dosi in più alle quali se ne potrebbero aggiungere altre 100mila per il ruolo delle farmacie. Le previsioni sono approssimative, ma se aggiungiamo a queste proiezioni quello che già facciamo possiamo riuscirci“. In sostanza si tratta di 1 milione di somministrazioni al giorno, più del doppio del ritmo attuale. Il paradosso è che, anche volendo, mantenere questo andamento sarebbe impossibile. Come si legge nell’ultima tabella delle forniture delle case farmaceutiche (aggiornata al 23 aprile), nel secondo trimestre sono previsti nel nostro Paese 54,7 milioni di vaccini di cui poco più di 20 milioni nel solo mese di giugno, comunque non sufficienti per garantire in modo strutturale il target ipotizzato da Figliuolo. Solo se l’Agenzia europea del farmaco dovesse dare il via libera in tempo a un quinto siero anti-Covid, quello tedesco di Curevac, potrebbe esserci una vera svolta con l’arrivo delle 7 milioni di dosi inizialmente previste per il secondo trimestre e a inevitabile rischio slittamento.

Il nodo Astrazeneca – In tutto questo c’è però un’altra incognita, cioè la fiducia dei cittadini in Astrazeneca. Come già raccontato da Ilfattoquotidiano.it, il commissario all’emergenza sta facendo pressione affinché il siero anglo-svedese sia di nuovo inoculato anche agli under 60, cambiando così per la quarta volta in pochi mesi la soglia d’età a cui è destinato. Una decisione motivata in base agli ultimi studi sugli eventi avversi e considerata necessaria per non rallentare la campagna di massa, dal momento che a partire dall’estate i 60-79enni che mancano all’appello saranno immunizzati e c’è il timore di lasciare milioni di fiale nei frigoriferi. Altrettanto concreto è però il rischio di dover fare i conti con lo spaesamento dei cittadini, a cui inizialmente era stato detto che Astrazeneca sarebbe stato somministrato agli under 55, poi la soglia è stata innalzata a 65 anni, c’è stato lo stop europeo necessario per fare accertamenti sulle trombosi rare e alla fine è scattata l’autorizzazione solo per gli over 60. Che nei fatti è solo una “raccomandazione” degli esperti, non una regola vera e propria. Il tutto senza una campagna di comunicazione di massa che permetta di far comprendere alla popolazione i motivi alla base di tutte queste retromarce. Ultima in ordine di tempo l’estensione del tempo che intercorre tra la prima e la seconda dose di Pfizer e Moderna, passato in entrambi i casi a 42 giorni (ma Emilia Romagna e Lazio hanno già annunciato di volerlo fissare a 35). Mentre il direttore medico di Pfizer Valeria Marino ribadisce l’opportunità di mantenere la regola della seconda dose a 21 giorni.

Come se non bastasse, anche su Astrazeneca le Regioni hanno intenzione di muoversi in ordine sparso. Se alcune fanno ancora affidamento all’indicazione generale del ministero, in altre si punta ad allargare le somministrazioni ai più giovani su base volontaria. A Caserta nelle ultime 24 ore è stato organizzato un “Astra Day” simile a quello avvenuto a Marcianise la scorsa settimana, aperto a tutti i cittadini senza distinzione di età. Come riferiscono le autorità locali, l’età media di chi si è presentato non ha raggiunto nemmeno i 30 anni. Più strutturata la decisione del Lazio, dove oltre agli Open day Astrazeneca aperti agli over 40 in programma per sabato 15 e domenica 16 maggio si è deciso di dare la possibilità “per i soggetti ultraquarantenni di vaccinarsi solo presso il proprio medico di medicina generale con AstraZeneca o Johnson&Johnson” a partire dal 17 maggio. “Diversamente, si dovrà aspettare l’apertura della suddetta fascia d’età”. A questo punto non è escluso che nei prossimi giorni la “raccomandazione” sul vaccino anglo-svedese possa essere rivista a livello nazionale. Fonti del ministero della Salute riferiscono che è stato chiesto al Comitato tecnico scientifico di valutare la possibilità di estendere il siero alla fascia 50-60 anni. Dal canto suo il commissario all’emergenza ha tentato di richiamare i governatori all’ordine, avvertendo che fino alla fascia dei 50enni bisogna continuare a seguire le classi decrescenti di età e dei fragili, seguendo la programmazione e i tempi del Piano nazionale.

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