Ormai sulla persistenza degli anticorpi neutralizzanti del virus Sars Cov nell’organismo gli studi sono moltissimi. E tutti fissano una soglia che va dagli 8 ai 10 mesi. L’ultimo in ordine di tempo è una ricerca condotta dall’Ospedale San Raffaele di Milano in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità (Iss), e pubblicato sulla rivista Nature Communications. La presenza degli anticorpi dura – secondo questa analisi – almeno otto mesi dopo la diagnosi di Covid-19, indipendentemente dalla gravità della malattia, l’età dei pazienti o la presenza di altre patologie. Ma non solo: chi non riesce a produrli entro i primi quindici giorni dal contagio è a maggior rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19.

Gli scienziati hanno “profilato” la risposta immunitaria umorale di 162 pazienti. Tutti avevano una infezione confermata e sintomi. I campioni di siero sono stati raccolti al momento del ricovero ospedaliero in marzo-aprile 2020 e durante le visite ambulatoriali durante il follow-up fino al 25 novembre 2020. “I pazienti – si legge nello studio – erano prevalentemente bianchi europei (89,5%), maschi (66,7%) e avevano un’età media di 63 anni. Una frazione rilevante aveva un indice di massa corporea> 30 (32,4%) e il 57,4% aveva una o più comorbilità, con l’ipertensione (44,4%) e il diabete (24,7%) i più frequenti”. I pazienti sono stati visitati in ospedale dopo una media di nove dall’insorgenza dei sintomi e 134 sono stati ricoverati. La durata mediana del ricovero è stata di 14 giorni. Complessivamente, 26 pazienti sono entrati nell’Unità di Terapia Intensiva (ICU) e 29 sono deceduti. Il tempo medio un risultato negativo del tampone naso-faringeo è stato di 40 giorni. I pazienti che si sono ripresi sono stati seguiti per una media di 201 giorni.

La ricerca, condotta dall’Unità di Evoluzione e trasmissione virale dell’Irccs ospedale San Raffaele, diretta da Gabriella Scarlatti, in collaborazione con i ricercatori del San Raffaele Diabetes Research Institute diretto da Lorenzo Piemonti, ha sviluppato un particolare test per gli anticorpi sfruttando le competenze e le tecniche già impiegate per lo studio degli anticorpi coinvolti nella risposta auto-immunitaria alla base del diabete di tipo 1. I ricercatori del Centro per la Salute globale e del dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (Iss), coordinati da Andrea Cara e Donatella Negri, sfruttando le competenze e le tecniche già impiegate per lo studio dei vaccini anti-Hiv, hanno lavorato in stretto contatto con il gruppo di Gabriella Scarlatti per sviluppare un nuovo metodo per la valutazione degli anticorpi neutralizzanti contro Sars-CoV-2.

Oltre agli anticorpi specifici e neutralizzanti contro Sars-CoV-2, i ricercatori hanno indagato nei pazienti anche la riattivazione degli anticorpi per i coronavirus stagionali (quelli responsabili del classico raffreddore) con l’obiettivo di verificare il loro impatto sulla risposta contro Sars-CoV-2. “Questi anticorpi riconoscono parzialmente il nuovo coronavirus e possono riattivarsi a seguito del contagio, pur non essendo efficaci nel neutralizzarlo – spiega Gabriella Scarlatti, che ha coordinato la ricerca – Il timore era che la loro espansione potesse rallentare la produzione degli anticorpi neutralizzanti specifici per Sars-CoV-2, con effetti negativi sul decorso dell’infezione.”
“Questo lavoro rappresenta un entusiasmante sforzo di collaborazione – sottolineano Andrea Cara e Donatella Negri – che unisce il nostro interesse nella valutazione della risposta immunitaria contro diversi agenti infettivi con l’esperienza all’interno delle nostre istituzioni, focalizzata sullo sviluppo di metodi immunologici innovativi, efficaci e capaci di dare risposte in tempi rapidi”.

“Contrariamente a quanto emerso da studi precedenti, la presenza precoce di anticorpi neutralizzanti contro Sars-CoV-2 è effettivamente correlata a un migliore controllo del virus e a una maggiore sopravvivenza dei pazienti – ricordano i ricercatori – Per fortuna questo è vero nella maggior parte dei casi: il 79% dei pazienti arruolati ha infatti prodotto con successo questi anticorpi entro le prime due settimane dall’inizio dei sintomi. Chi non ci è riuscito è risultato a maggior rischio per le forme gravi della malattia, indipendentemente da altri fattori come l’età o lo stato di salute. Allo stesso tempo, la presenza degli anticorpi neutralizzanti, pur riducendosi nel tempo, è risultata molto persistente: a otto mesi dalla diagnosi erano solo tre i pazienti che non mostravano più positività al test. La persistenza di questi anticorpi per almeno otto mesi è indipendente dall’età dei pazienti o dalla presenza di altre patologie”.

Infine, secondo i dati analizzati dai ricercatori del San Raffaele, “la riattivazione di anticorpi pre-esistenti per i coronavirus stagionali non ha alcuna influenza nel ritardare la produzione degli anticorpi specifici per Sars-CoV-2 e non è associata a maggior rischio di decorsi gravi del Covid-19”. “Lo studio della risposta anticorpale contro Sars-CoV-2 – spiega Vito Lampasona del Diabetes Research Institute – rivela la complessità dell’interazione tra il virus e il sistema immunitario, uno degli elementi che determina la diversa gravità con cui la malattia si manifesta nel singolo paziente”. “Quanto abbiamo scoperto ha delle implicazioni sia nella gestione clinica della malattia nel singolo paziente, sia nel contenimento della pandemia – afferma Scarlatti – Secondo i nostri risultati, infatti, i pazienti incapaci di produrre anticorpi neutralizzanti entro la prima settimana dall’infezione andrebbero identificati e trattati precocemente, in quanto ad alto rischio di sviluppare forme gravi di malattia. Gli stessi risultati ci danno però anche due buone notizie: la prima è che la protezione immunitaria conferita dall’infezione persiste a lungo; la seconda è che la presenza di una pre-esistente memoria anticorpale per i coronavirus stagionali non costituisce un ostacolo alla produzione di anticorpi contro Sars-CoV-2. Il prossimo step è capire se queste risposte efficaci sono mantenute anche con la vaccinazione e soprattutto contro le nuove varianti circolanti, cosa che stiamo già studiando in collaborazione con i colleghi del Iss”.

Lo studio

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