16 gennaio 2021: la Sicilia intera diventa zona rossa. Motivo? Schiacciare la curva dei contagi, ovviamente. Motivo dei contagi? Il Natale in zona rossa. Esatto: servì una zona rossa per mitigare gli effetti della zona rossa.

Impensabile che i siciliani, come del resto gli italiani, rinunciassero a ritrovarsi per le Feste. D’altronde era esplicitamente concessa la possibilità di far visita ai parenti “massimo in due coi minori di 14 anni che non si contano, così come i disabili o non autosufficienti conviventi”. Un divieto oggettivamente incontrollabile per le Forze dell’Ordine, fondato unicamente sulla disponibilità individuale a sacrificare gli affetti nella più sacra e tradizionale delle feste familiari. Com’è andata ve l’ho già detto.

Come andrà a Pasqua, purtroppo, lo immagino già. Con delle aggravanti. Il 4 e il 5 aprile in buona parte d’Italia sarà già primavera spalancata eppure non ci si potrà ritrovare all’aperto. E nemmeno in trattoria, nonostante al ristorante si rispettino certamente più prescrizioni che in appartamento. Dei tre modi abituali di trascorrere la Pasqua – a casa, all’aperto, al ristorante -, l’unico lecito e autorizzato sarà quello che presuppone un maggior rischio di contagio.

Se abiti in una città importante, con scarna campagna e maxi ristoranti, con le vie della movida sbocco principale di chi proprio non vuole stare a casa, la norma è impeccabile. Ma se abiti in città piccole o in paese, con campagna sconfinata e ristorantini con pochi coperti magari all’aperto, la regola è un paradosso. È un po’ come avviene per le scuole, chiuse più per le resse sui mezzi pubblici che tra i banchi: e dove per andare in classe non si prende il bus, è corretto comunque disporre la chiusura?

So bene che le decisioni dondolino inevitabilmente appese a numeri che si impennano dall’oggi al domani, comprendo la difficoltà oggettiva nel gestire la situazione, la necessità di scelte uniformi e di una salda catena di comando. Ciò di cui non mi capacito, però, è come in un’Italia maculata, con tinte dal bianco al rosso passando per tonalità “rafforzate”, non si sia stabilito di colorare per province. La mia, ad esempio, fu gialla quando aveva le terapie intensive sotto torchio; rossa quando per contare i contagi giornalieri due mani erano fin troppe.

Draghi, come Conte, ha fatto appello ai principi di adeguatezza e proporzionalità: può essere mai che questi si smaterializzino su una scala minore di quella regionale? Eppure ogni giorno i bollettini fanno la conta per province; eppure il sistema delle Asp, che il virus lo affrontano faccia a faccia, ragiona per province. Il risultato è un disallineamento tra territori e precetti che allontana i cittadini dalle regole.

Per quanto intenso possa essere il colore della mia Regione, se l’epicentro dei contagi resta a quattro o cinque province dalla mia, la mascherina che ho sul viso tenderà a scivolare con una certa facilità. Ma se è l’ospedale della mia città a penare mentre la provincia di fianco è relativamente serena, un po’ la paura e un po’ l’invidia rinsalderanno l’elastico che mi barrica naso e bocca. Le norme si rispettano tutte, specialmente quelle di cui si comprende la necessità.

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