Contratti assenti, lavoro grigio, condizioni da schiavitù, illegalità diffusa. “Il caporalato non è soltanto un fenomeno italiano, ma una piaga europea. E quindi, come tale, va affrontata”: questo è quanto rivendicato dall’associazione Terra!”, che ha presentato a Roma il suo nuovo rapporto “E(U)xploitation”, che mostra come le condizioni di sfruttamento nei campi siano comuni tra i braccianti e i lavoratori agricoli non soltanto in Italia, ma anche in Spagna e Grecia. Lo stesso vale per il resto d’Europa, soprattutto quella meridionale. Un fenomeno spesso nascosto tra zone grigie, dietro sistemi a volte avallati dalle stesse istituzioni, secondo il rapporto. “Lo sfruttamento del lavoro è collegato a un’economia di filiera fragile. L’Europa deve farsi carico delle condizioni sociali ed economiche dei lavoratori agricoli, costretti a vivere come ‘invisibili’ e in condizioni di precarietà estrema”, spiega Fabio Ciconte, direttore di “Terra!”.

Per quanto riguarda l’Italia, il rapporto fotografa tre aree produttive, dall’Agro Pontino nel Lazio alla piana del Sele nel Salernitano fino al Foggiano. Se da una parte nel meridione d’Italia ha origine la quasi totalità della produzione ortofrutticola nazionale, dall’altra lo sviluppo del settore ancora arranca: soltanto il 30 per cento delle esportazioni totali dell’agroalimentare italiano arriva da quest’area, dove si registra inoltre soltanto un quarto degli investimenti agricoli totali. Le criticità? “Forte disgregazione tra gli addetti del settore, scarsità di politiche di filiera e mancanza di organizzazione del lavoro”, si spiega. Oltre alle condizioni da “para-schiavitù” di molti lavoratori, in gran parte extracomunitari. “Ci preoccupa in particolare il lavoro grigio, che riguarda il 90% dell’agricoltura italiana: è prassi comune che vengano segnate molte meno giornate di quelle effettivamente lavorate. Il datore di lavoro ha un contratto fittizio in caso di controlli da parte degli ispettori e così tiene soggiogato il lavoratore. In cambio questo può godere della disoccupazione agricola nel caso riesca a raggiungere un numero di giornate registrate. In realtà, resta in condizioni di subalternità”, sottolinea Ciconte. Tradotto, un rapporto lavorativo fondato sul ricatto. Ma le condizioni dei lavoratori, tra caporalato e contratti illegali o assenti, è simile anche da altre parti d’Europa. Così in Spagna lo sfruttamento e le violenze si celano dietro le agenzie interinali di reclutamento, con i sindacati che hanno accusato le aziende di avvalersene per aggirare le normative e non applicare il contratto collettivo di settore. Tutto mentre le ricchezze si concentrano in poche mani, un oligopolio di fatto. Deregolamentazione, controlli scarsi e strapotere della grande distribuzione sono tipici anche in Grecia, testimonia il rapporto di “Terra!”.

Le condizioni sono state aggravate nell’ultimo anno, in tutta Europa, dalla pandemia di Covid-19, che ha mostrato tutte le crepe e i problemi strutturali del comparto, tra una grande distribuzione che schiaccia le piccole e medie aziende e lavoratori senza tutele. La stessa Ue sta così cercando qualche soluzione, cercando di vietare almeno le pratiche sleali messe in campo contro produttori e consumatori: “È ora che anche il Parlamento italiano acceleri per approvare in via definitiva la legge che vieta le aste a doppio ribasso, forma di speculazione per abbassare i costi dei prodotti (con le grandi aziende di distribuzione che chiedono offerte di vendita agli agricoltori e poi indicono una seconda gara partendo dall’offerta più bassa ricevuta, ndr). Basta poco per farla diventare legge dello Stato”, ha spiegato Ciconte, ricordando come in Italia il Parlamento abbia “chiesto al governo di inserire questa abolizione anche nella direttiva comunitaria contro le pratiche sleali da recepire entro maggio”.

Secondo “Terra!” serve però anche tornare a intervenire sul versante della regolarizzazione dei lavoratori agricoli, dato che la maggior parte della forza lavoro è di origine straniera, spesso senza documenti, contratti o tutele: “L’ultima realizzata lo scorso non è stata sufficiente. Troppi paletti, serviva maggiore coraggio. Soltanto il 2% delle domande sono state processate, andando di questo passo saranno completate tra trent’anni, è inaccettabile”.

Per Ciconte, al di là della pandemia, “serve affrontare la questione in modo strutturale da parte dell’intera Europa, non in modo emergenziale”. Convinto anche che, in Italia, sarebbe stato poi il caso di coinvolgere nelle competenze del nuovo ministro della Transizione ecologica anche quelle agricole: “Servirà capire i primi atti politici di questo ministero per giudicarlo, ma aver escluso l’Agricoltura rischia di rappresentare un passo falso”.

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