Dopo un anno passato a contare ogni giorno positivi, ricoverati, terapie intensive e decessi, la verità è che brancoliamo nel buio. PresaDiretta con la puntata “L’onda lunga dell’epidemia” – di Daniela Cipolloni ed Eleonora Tundo in onda questa sera alle 21.20 su Rai3 – entra nel mondo dei dati epidemiologici per capire se quelli che abbiamo a disposizione sono sufficienti per comprendere quello che ci sta succedendo e prendere decisioni opportune. In un paese a scarsissima vocazione informatica la pandemia ha reso ancora più evidente l’urgenza di modernizzare il sistema sanitario e mettere i dati in rete.

Mancano i dati su quanto avviene dentro gli ospedali. Dove muoiono i pazienti, in quali reparti avvengono i decessi, se ci sono ospedali che curano meglio di altri. Ma dall’inchiesta di PresaDiretta emerge soprattutto il fatto che le performance delle rianimazioni Covid sono un mistero. Non esistono dati pubblici e solo una minoranza delle rianimazioni in Italia dispone di cartelle cliniche elettroniche.

Eppure, sarebbe essenziale avere a disposizione dati certi. Lo dimostra un’analisi fatta dal GiViTI, un gruppo di ricerca dell’Istituto Mario Negri che sta lavorando sui dati messi a disposizione da un centinaio di terapie intensive. Dal report che mostrerà PresaDiretta viene fuori un dato impressionate: tra le persone finite in terapia intensiva quasi la metà sono morti, il 45 per cento. Una percentuale di decessi quasi raddoppiata, la mortalità in rianimazione prima del Covid era del 20-25 per cento.

E i dati variano moltissimo a seconda delle terapie intensive. Alcune registrano una mortalità inferiore alla media, attorno al 25-30 per cento, mentre altre una mortalità ben superiore, anche attorno all’80 per cento.

“La mortalità non è uguale dappertutto” – spiega Stefano Finazzi, ricercatore del GiViTI intervistato da Daniela Cipolloni – “nelle terapie intensive che si sono trovate a gestire molti più pazienti di quelli che la terapia intensiva era in grado di gestire, la mortalità è stata più alta a parità di condizioni dei pazienti. Se due pazienti sono ammessi nello stesso giorno in TI, ciascuno dei due avrà una mortalità più alta rispetto a quella di un paziente che è ammesso da solo, circa 7 per cento in più”.

La qualità della cura dei reparti di rianimazione non è un fattore secondario.

“Una terapia di un paziente così delicato, non si improvvisa. Non si improvvisa nulla. Bisogna sviluppare una competenza che non è possibile improvvisare solo nell’emergenza”. Sergio Livigni è il primario di rianimazione dell’Ospedale S. Giovanni Bosco di Torino. La sua terapia intensiva è una di quelle virtuose, con i tassi di mortalità Covid più bassi del Piemonte: appena il 23 per cento. Da sempre sposa una filosofia di umanizzazione delle cure ed è stata tra le prime a riaprire le porte ai familiari dei malati Covid.

“Abbiamo creato delle aree di contatto e possibilità di relazione diretta tra familiari e pazienti. Con tutte le precauzioni si cerca di favorire l’ingresso e la relazione”. E dati alla mano, conclude Livigni: “la vicinanza di una persona riduce la mortalità. È stato dimostrato, non è un vezzo”.

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