Doveva essere la prova che doveva suggellare l’allargamento della maggioranza di Giuseppe Conte. Dopo la crisi aperta da Matteo Renzi si è presto trasformata in una mina pericolosa in grado di fare saltare in aria tutto il governo. Ed è per questo che il presidente del consiglio si è dimesso. Una settimana dopo aver incassato la fiducia alle Camere, infatti, la maggioranza avrebbe dovuto passare la prova sulla giustizia. Il guardasigilli, Alfonso Bonafede, avrebbe dovuto relazionare alla Camera e al Senato a partire da mercoledì 27 gennaio. Un intervento alla quale sarebbe seguito il voto sulle risoluzioni: una a favore e una contro la relazione del ministro della giustizia. L’impressione è che soprattutto al Senato la maggioranza sarebbe andata sotto. Significava una sfiducia in Parlamento per Conte, soprattutto dopo che domenica Luigi Di Maio ha definito quello su Bonafede come “un voto su tutto il governo“. Per questo motivo il premier ha deciso di dimettersi prima, senza correre il rischio di farsi sconfiggere in Aula sulla giustizia. In questo modo conserva la possibilità di riottenere l’incarico e lavorare a un nuovo esecutivo.

Ma cosa succede ora con la relazione sulla giustizia? Bonafede avrebbe dovuto comunicare al Parlamento quanto fatto nel 2020, quando al governo c’era pure Italia viva. E dunque la riforma della prescrizione, del processo penale e di quello civile. Ma nella relazione sulla giusstizia saranno riassunte anche le linee guida per il 2021. Vuol dire essenzialmente quanto è contenuto nel Recovery plan, che stanzia quasi 3 miliardi di euro proprio per la giustizia. Soldi che serviranno soprattutto – 2,3 miliardi – per assumere magistrati, cancellieri, dipendenti che fanno parte del personale tecnico. In totale si tratta di 16mila persone che avranno come obiettivo quello di eliminare l’arretrato che grava sui giudici, velocizzando i processi. Che fine fa ora quella relazione, visto che il governo si è dimesso? Sarà con tutta probabilità inviata alle Camere, senza alcuna discussione e ovviamente alcun voto. Col governo dimissionario e in carica solo per gli affari correnti, infatti, si ferma tutta l’attività parlamentare, eccetto che per gli atti urgenti come la conversione dei decreti legge in scadenza.

La relazione però alle Camere deve essere trasmessa. In base alla riforma della legge sull’Ordinamento giudiziario del 2005, infatti, è di fatto propedeutica alla inaugurazione dell’Anno Giudiziario in Cassazione. Si registrano due precedenti di relazioni presentate ma non votate. Il primo è stato nel 2008, quando l’allora guardasigilli Clemente Mastella si recò a Montecitorio per tenerla a poche ore dall’arresto (ai domiciliari) della moglie Sandra Lonardo. Mastella parlò alla Camera ed andò a dimettersi, per cui non ci fu un voto sulla relazione. L’unico precedente di relazione tenuta durante un governo dimissionario risale, invece, all’epoca di Mario Monti nel 2013. Si decise in quella occasione di dare per assolto l’obbligo con la semplice trasmissione della relazione dell’allora guardasigilli Paola Severino senza svolgere le comunicazioni in Aula. Strada che verrà con tutta probabilità percorsa anche questa volta.

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