L’abilismo è un sistema di potere che attribuisce valore ai corpi e alle menti non disabili, marginalizzando tutti gli altri”. E come lo si contrasta? “Ascoltando le persone disabili, e non chi parla al posto loro; essendo critici verso le narrazioni abiliste nei media sul coraggio e la forza di volontà delle persone disabili; ragionando sull’esclusione sociale”. In generale, “cercando di decostruire i modi in cui siamo stati educati a pensare alla disabilità”. Elena e Maria Chiara Paolini sono due sorelle di Senigallia (Ancona) e dal 2015 gestiscono il blog “Witty Wheels” (letteralmente “ruote spiritose”) e la rispettiva pagina su Facebook e Instagram seguite da migliaia di persone. Sono due donne disabili, attiviste, che si battono per pari diritti con un grande pregio: sono state tra le prime in Italia a parlare di abilismo e di tutte le discriminazioni che provoca.

Maria Chiara ha 29 anni, è laureata in lingue (inglese e arabo), ha fatto un master per insegnare italiano come lingua straniera e attualmente fornisce consulenze come diversity reader sulla rappresentazione della disabilità nella narrativa. Elena, 25 anni, ha ottenuto una laurea in Relazioni internazionali, ha frequentato dei corsi di pratica cinematografica e ora sta facendo la magistrale in “Human Rights and Politics” alla London School of Economics. Viaggiare, provare nuovi cibi e guardare film sono cose che fanno spesso insieme.

“Attraverso lo strumento del blog parliamo di disabilità, abilismo che rappresenta la discriminazione e lo stigma verso le persone disabili, ma anche di diritti sociali, battaglie civili, femminismo, alternando riflessioni e analisi a contenuti ‘divulgativi’ o più ‘leggeri’”, raccontano a Ilfattoquotidiano.it. Elena e Maria Chiara Paolini. Ad esempio ultimamente hanno deciso di modificare anche una serie di quadri famosi in modo che i personaggi classici abbiano diverse disabilità, e con quei personaggi hanno ricreato scenette in chiave disabilità/abilismo. “Dato che sperimentare e decostruire l’abilismo è faticoso, ogni tanto esploriamo il lato ludico” affermano le sorelle. Oltre al blog, che è la loro parte più creativa, si occupano di consulenze e formazione nelle scuole, università, associazioni e contesti professionali. “Abbiamo iniziato ad occuparci di questi temi grazie ai Disability Studies e venendo in contatto con l’attivismo internazionale in materia di diritti e oppressioni. All’epoca in Italia non c’era quasi nulla sull’abilismo, e quindi semplicemente abbiamo iniziato a scrivere quello che avremmo voluto trovare noi anni prima”. Secondo loro i social hanno tante problematiche ma sono anche molto importanti per l’attivismo, “ci si può mettere in rete, fornire e ricevere supporto alla pari, e un adolescente disabile oggi può trovare online una community e un supporto impensabili solo quindici anni fa”, sostengono. Ilfattoquotidiano.it le ha intervistate, raccontando le loro lotte e i nuovi progetti.

State realizzando un lavoro molto utile per una società più inclusiva e con pari opportunità per tutti. Quali sono le principali battaglie che state sostenendo? Quali sono le questioni che desiderate migliorare nel contesto italiano?
Gran parte del nostro lavoro è creare consapevolezza intorno al concetto fondamentale di abilismo. Le questioni che affrontiamo sono tante. Molte persone disabili non autosufficienti, ad esempio, sono segregate nelle strutture perché sono stanziati pochissimi fondi per supportarle nel diritto di vivere a casa propria. Se una persona vuole vivere senza l’assistenza dei familiari o dei partner deve pagarsi gli assistenti in gran parte di tasca propria. Nel 2017-2018 abbiamo organizzato delle manifestazioni pubbliche per il diritto all’assistenza personale autogestita per le persone che ne hanno bisogno. Abbiamo creato la rete “Liberi di Fare” e coordinato gli organizzatori delle varie città tramite i social, con un buon riscontro dei media.

Quali sono le difficoltà incontrate?
Purtroppo non è facile protestare a lungo se ti mancano le ore di assistenza. Anche la non accessibilità sensoriale e fisica delle città, dei trasporti e dell’informazione contribuisce alla segregazione. A questo si aggiunge una narrazione mediatica che spesso dipinge le persone disabili come ‘altre’ e fondamentalmente ‘diverse’. La difficoltà alla base è che la disabilità tende ad essere depoliticizzata, cioè vista spesso solo come un dato biologico fisso e una condizione tragica, anche negli stessi ambienti femministi, dove c’è resistenza e cautela nell’accogliere le voci delle persone disabili.

In uno dei vostri post su Facebook avete scritto una lunga riflessione su femminismo, doppia discriminazione in quanto donne con disabilità e violenza di genere. Cosa volevate comunicare?
Nel post parliamo del fatto che, da donne disabili, la nostra vita quotidiana viene ancora più influenzata dall’abilismo che dal sessismo. Ad esempio abbiamo conquistato il diritto di voto in quanto donne; ma in quanto disabili la piena partecipazione allo spazio pubblico ci è molto spesso preclusa e può essere difficile anche andare a votare. Chi ha certe disabilità non è considerata come oggetto sessuale, ma è considerata oggetto di pena. Le donne ribelli non vengono più rinchiuse in manicomio, come succedeva durante il fascismo, ma le case di cura per le persone disabili sono normalizzate. A livello di discriminazione, quindi, noi due sentiamo di avere molto più in comune con gli uomini disabili che con le donne non disabili. L’abilismo è ancora un’oppressione poco conosciuta e poco combattuta.

Sono una donna e sono disabile. Vengo discriminata per entrambe le cose, eppure la discriminazione per il fatto che sono…

Pubblicato da Witty Wheels su Mercoledì 25 novembre 2020

Per voi il concetto di abilismo è fondamentale. Ma che cos’è nel dettaglio?
È un sistema di potere che attribuisce valore ai corpi/menti non disabili, marginalizzando tutti gli altri. È un’oppressione strettamente collegata al capitalismo, con i suoi valori di efficienza e produttività, all’eugenetica, al colonialismo. Ha un impatto enorme e devastante a danno delle persone disabili, negando loro opportunità, facendo sì che vengano sottovalutate o sottoposte ad abusi e violenze.

Come si può superare? Avete delle proposte in merito?
Si può contrastare ascoltando le persone disabili, e non chi parla al posto loro; essendo critici verso le narrazioni abiliste nei media sul coraggio e la forza di volontà delle persone disabili; ragionando sull’esclusione sociale. In generale, cercando di decostruire i modi in cui siamo stati educati a pensare alla disabilità. Per arrivare a interessare anche le istituzioni al problema delle diseguaglianze, è necessario l’appoggio attivo dell’opinione pubblica, il supporto degli alleati non disabili.

Avete dei nuovi progetti che volete presentare?
Abbiamo aperto un gruppo Facebook privato rivolto a persone con ogni tipo di disabilità, specificamente per parlare di abilismo (“Tè, biscotti e abilismo”). I gruppi di supporto alla pari sono fondamentali per fare rete e sviluppare coscienza intorno alle specifiche oppressioni, perché è difficile puntare a una liberazione se non si sa neanche da che cosa è necessario liberarsi.

Il Covid ha peggiorato la condizione delle persone disabili? Ritenete abbia fatto fare passi indietro all’Italia anche sul fronte dell’abilismo?
Le persone disabili sono tra le categorie che hanno subìto più danni dalla pandemia. Citiamo solo alcune questioni. A molte persone disabili quando sono ricoverate serve di essere accompagnate da una persona di fiducia che sa come assisterle, perché hanno bisogno di un supporto specialistico individuale che non hanno il tempo di insegnare al personale medico. Con alcuni protocolli Covid, molte persone disabili si trovano ricoverate però senza nessun accompagnatore, essenziale per la comunicazione o per una corretta assistenza e questo purtroppo sta portando a disagi e morti evitabili. Poi la strage nelle RSA e nelle strutture per persone disabili parla da sola, e forse rende chiaro a chi non lo aveva chiaro già da prima che è essenziale organizzare un’altra modalità di assistenza per chi non è autosufficiente che non sia segregante e pericolosa.

Essere chiusi in casa per mesi credete abbia provocato danni sul lungo periodo?
Un altro grande problema del protrarsi della pandemia è il fatto che molte persone non autosufficienti hanno scelto di fare a meno dei propri assistenti personali per limitare i contatti e ridurre il rischio di contagio e si stanno facendo assistere dai propri cari, limitando le attività quotidiane. Questo disagio si va ad aggiungere a quelli sperimentati da tutti, come la compressione della vita sociale.

Come Fattoquotidiano.it abbiamo sostenuto una campagna di sensibilizzazione sul tema vaccino. Volete unirvi anche voi e fare un appello?
Siamo d’accordo e sosteniamo campagne pro-vaccino. L’uscita dalla crisi non sarà rapida, ma i vaccini sono un primo spiraglio di luce. Siamo molto grate di averli disponibili in Italia, purtroppo non è certo così in tutto il mondo. Gli scienziati ci dicono che è fondamentale che si vaccini una percentuale alta di popolazione, altrimenti non sarà efficace quanto potrebbe esserlo. Fermare il virus è una questione di responsabilità civica: per le persone che, a causa di altre patologie, non potranno ricevere il vaccino; per non dover più tornare a questi momenti di emergenza sanitaria.

Speriamo davvero che si riesca a diffondere una cultura di prevenzione, senza che vengano minimizzati tutto il dolore, le morti e la fatica di quest’anno. Personalmente noi due siamo già in attesa con la manica tirata su.

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