Un weekend di trattative per evitare il ritorno alle urne. La crisi di governo sembra essere arrivata a un punto di stallo e le prossime 48 ore saranno decisive per le sorti dei giallorossi. Se dal fronte Palazzo Chigi assicurano che le interlocuzioni per allargare la maggioranza stanno andando avanti, la strada per un nuovo esecutivo al momento rimane bloccata. I primi segnali negativi sono arrivati giovedì sera dal vicesegretario Pd Andrea Orlando, che, intervenendo a Piazzapulita su La7, alla domanda se le “elezioni sono più vicine”, ha replicato: “Purtroppo sì. Ed è quello che temevamo: oltre questo governo, tutte le altre ipotesi sono di molto difficile percorribilità“. Una strategia per sbloccare le trattative? Tutto può essere in queste ore concitate, ma resta il fatto che l’uscita non è piaciuta neanche a un gruppo di senatori Pd (da Pittella a Verducci) che ha chiesto di “non agitare le elezioni come arma finale”. Nell’immobilismo (almeno apparente) generale, oggi però qualcosa è successo: intorno all’ora di pranzo Bruno Tabacci, leader della componente di Centro democratico, ha visto Luigi Di Maio e, all’uscita, ha indicato quella che al momento sembra essere l’unica strada possibile: non un semplice rimescolamento delle carte, ma un vero e proprio nuovo esecutivo (anche se con lo stesso premier). “La possibilità di rafforzare la maggioranza c’è, ma serve un governo nuovo, non basta un piccolo rimpasto”, ha detto Tabacci. “Io penso che Conte sia l’unico punto di equilibrio di questa legislatura. Per concludere la crisi è necessario aprire a un ventaglio di forze più ampio. Renzi al Senato ha fatto un discorso di rottura, ma credo che in Iv ci siano posizioni più concilianti. E poi c’è l’area dei liberal-democratici di Forza Italia“.

Intanto ieri sera i parlamentari di Italia viva si sono riuniti in assemblea e hanno elaborato un documento per chiedere di riaprire il dialogo: “Serve una soluzione politica di respiro ampio”, hanno scritto. Peccato che però, solo poche ore dopo, l’ex ministra Teresa Bellanova è tornata alla carica pretendendo l’uso del Mes, uno dei pochi capitoli davvero divisivi nella maggioranza e sul quale sembra impossibile arrivare a una mediazione: “L’Italia ha bisogno del Mes”, ha scritto su Facebook certificando che, dal giorno della rottura, niente è davvero cambiato per i renziani. Sul fronte di Italia viva però, la riapertura delle trattative con la maggioranza è ritenuta necessaria anche per bloccare le defezioni di quei parlamentari (almeno quattro sarebbero già confermati: Grimani, Comincini, Marino e Conzatti) che invece non intendono andare all’opposizione con la destra sovranista e sono disposti a rientrare nel Pd se le cose si mettessero male. In questo senso va letta la decisione di Palazzo Chigi di accelerare sull’affidamento della delega ai Servizi all’ex ambasciatore a Berlino Pietro Benassi, un punto su cui Iv aveva insistito molto e che potrebbe sbloccare molte discussioni.

Intanto il tempo corre: i numeri per mettere in sicurezza la maggioranza al Senato ancora non ci sono e il prossimo ostacolo sarà il 27 gennaio in occasione del voto alla risoluzione sulla giustizia del ministro Bonafede. Matteo Renzi ha già annunciato l’intenzione di votare no, ma a quel punto non tutti i parlamentari di Italia viva potrebbero seguirlo. I timori nella maggioranza sono che siano tanti i voti a venir a mancare. Ad esempio quello delll’ex Fi e ora tra i responsabili Sandra Lonardo che, interpellata dall’Ansa, ha preso tempo: “Prima di votare, leggerò la risoluzione sulla relazione sulla giustizia per valutare se c’è la volontà di arrivare subito a una proposta, che diventi legge, per accorciare davvero i tempi della giustizia. Perciò chiedo a Conte che sia lui a farsi garante su questo, e che lo faccia subito. In quel caso le mie perplessità potrebbero essere attenuate”. Gli incontri vanno avanti senza sosta e i pontieri sono al lavoro. In serata anche l’ex Fi Maria Rosaria Rossi è tornata a Palazzo Chigi per vedere Conte: massimo riserbo sul contenuto del colloquio, ma la prova che le interlocuzioni si muovono su più direzioni e riguardano anche il fronte del centrodestra.

Italia viva spinge per riaprire il dialogo – In questa fase in cui il rischio immobilismo è sempre più chiaro, sono tornati a farsi sentire i deputati e i senatori di Italia Viva che si giocano l’ultima possibilità per rientrare in maggioranza. Giovedì sera si sono riuniti in assemblea e al termine dell’incontro hanno elaborato un documento: “Esprimiamo”, si legge, “preoccupazione per lo stallo istituzionale di questi giorni, la difficile situazione sanitaria e i drammatici dati economici del nostro Paese” e “ribadiamo con forza la necessità, già espressa nel dibattito parlamentare, di una soluzione politica che abbia il respiro della legislatura e offra una visione dell’Italia per i prossimi anni”. Nel testo, che l’agenzia Ansa ha visionato, i parlamentari garantiscono che “si muoveranno tutti insieme in modo compatto e coerente in un confronto privo di veti e pregiudizi, da effettuarsi sui contenuti nelle sedi preposte”.

Tra i firmatari del documento c’è anche il senatore Iv Eugenio Comincini, tra i parlamentari ritenuti più propensi a un ritorno nel Partito democratico: “Serve riannodare i fili del dialogo e della leale collaborazione, come sostengo da giorni. Bisogna provarci, fino all’ultimo. Facciamolo intorno ad un tavolo, nelle sedi più opportune, politiche o istituzionali”. Un altro dei nomi in bilico e più in difficoltà sulla linea della spaccatura voluta da Renzi è quello di Leonardo Grimani, senatore di Italia Viva, che oggi ha detto di aver firmato “con convinzione” il documento. “Fare in fretta”, ha detto all’Adnkronos. Mercoledì ci sarà il voto su Bonafede e “vanno trovate prima le condizioni per rilanciare un accordo altrimenti saranno problemi”. Ma lei voterà contro la relazione di Bonafede come ha annunciato Renzi? “Vanno fatte valutazioni di contenuto, ma anche politiche perché non possiamo scordare che eravamo al governo insieme. Io mi auguro si trovi prima un accordo“. E sull’ipotesi che i renziani si dividano da Renzi, ha ribattuto: “Sulla linea del dialogo siamo compatti. Da parte nostra non ci sono né veti né pregiudizi. Spero che sia lo stesso anche dall’altra parte. Io mi aspetto che accada qualcosa al massimo entro martedì”.

La tensione e la fretta nell’asse Pd-M5s – Orlando è stato chiaro nelle scorse ore nello spiegare perché il voto rischia di essere l’unico epilogo in caso fallissero le trattative: “Noi non vogliamo mischiare i nostri voti con quelli di Salvini e Meloni, quindi un’ipotesi di unità nazionale non esiste. Mi pare che il M5s non rinunci ad avere Conte come riferimento. In politica se si escludono le vie che non sono percorribili restano quelle percorribili”, ha ripetuto ieri il vicesegretario dem. “Noi crediamo che se si toglie Conte questa maggioranza implode“. Per questo rimarrebbe solo la strada del voto, se le mediazioni non andassero in porto. Se il governo cadesse, “credo che si andrebbe al voto: uno scenario che non auguro per il Paese in un momento così delicato”, ha detto al Corriere della sera Fraccaro. La speranza è quindi che “ulteriori passi in avanti si concretizzeranno nei prossimi giorni”.

Anche tra i dem c’è chi frena sull’ipotesi elezioni anticipate. A rompere la linea sono stati i senatori Gianni Pittella, Dario Stefano, Tommaso Nannicini e Francesco Verducci. “Bisogna ribadire con forza anche in queste ore difficili che il Pd è il partito del rilancio della legislatura. Siamo nel pieno di una drammatica crisi sanitaria e sociale. L’Italia ha bisogno di risposte urgenti. Il Pd rilanci le ragioni di un governo che sia all’altezza delle risposte che si aspettano le italiane e gli italiani, parlando con tutti per trovare la quadra di un programma di legislatura”. Chi cerca subito di bloccare però l’ipotesi della riapertura di un tavolo con Matteo Renzi è il capo politico M5s Vito Crimi: “Leggiamo dichiarazioni e interviste di esponenti politici ancora convinti che ci sia spazio per ricucire con Renzi”, ha detto all’agenzia Ansa. “Questo nonostante le mie e le nostre affermazioni nei giorni precedenti siano state chiarissime in tal senso. Allora lo ribadisco, a scanso di ogni equivoco: per il Movimento non ci sono margini per ricucire con Renzi, la porta è definitivamente chiusa. Non torneremo con chi è inaffidabile fino a questo punto: con chi si è reso responsabile di una crisi in un momento tanto drammatico per il Paese”.

Nel M5s però le tensioni sono tante. E c’è anche chi non esclude una linea più distensiva: “Parlare di ricucitura con i renziani”, ha detto all’Adnkronos il deputato M5s Giorgio Trizzino, “probabilmente è inappropriato ma si può fare qualcosa di diverso: cioè ricreare le condizioni ideali per una riflessione collettiva sui reciproci errori commessi in questi ultimi mesi. E, ove esistano le condizioni, potrebbe essere anche valutabile una riapertura di dialogo con i renziani“. Il quadro rimane molto confuso e le ricostruzioni affidate a fonti anonime, ha osservato su Facebook il senatore M5s Primo Di Nicola non aiutano a semplificare il quadro: “La tutela delle fonti per un giornalista è sacra”, si legge. “Ma quando si leggono articoli, come quelli delle cronache parlamentari, costruiti sistematicamente sull’anonimato di deputati, senatori e presunti leader che non rischiano niente, bisogna dire che qualcosa non va”. Perché, ha continuato, “questi anonimi spesso e volentieri vengono citati solo per descrivere scenari e costruire retroscena assolutamente improbabili, utili solo non a raccontare ma a pilotare gli eventi. Allora chiedo se su questo hanno qualcosa da dire gli autorevoli direttori e magari anche i cronisti, a cominciare da quelli iscritti alla Stampa parlamentare. Se la smettessimo con questo modo di lavorare, forse l’informazione riacquisterebbe in Italia maggiore credibilità. E i giornali tornerebbero ad essere venduti molto di più

I movimenti al centro – È in questa delicatissima fase che è piombata come un macigno l’indagine della procura di Catanzaro sul segretario dell’Udc Lorenzo Cesa (ora dimissionario). Anche perché pesi massimi del Movimento 5 Stelle come Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista hanno messo in chiaro sin da subito che “il M5s non parla con chi è accusato di reati gravi“. L’auspicio, però, è che se Cesa ora è escluso dalla partita – ed era soprattutto lui a spingere l’Udc a rimanere nel centrodestra – qualcosa possa smuoversi tra i suoi. Un primo segnale è arrivato dalla senatrice Paola Binetti: “Io sono convinta che la legislatura non può e non deve finire. Per salvarla farei di tutto, penso che tutti faremmo di tutto”, ha detto in un’intervista al Messaggero. “Poi, sulla formula possiamo discutere”. Binetti sostiene infatti che se il premier ha davvero intenzione di “guardare al centro, non trova una prateria vuota, c’è già l’Udc. Conte deve capire se la sfida che vuole assumere è quella di aggregare questa miriade di piccoli soggetti che stanno al centro. Se questa fosse la sfida, mi vedrebbe interessata“. I colleghi Saccone e De Poli, invece, rimangono fermi sul loro no.

L’unica soluzione è che altri forzisti, dopo le defezioni di Maria Rosaria Rossi e di Andrea Causin, possano arrivare in soccorso del governo. Il centrodestra intanto cerca di rimanere compatto e solo ieri i vertici sono saliti al Quirinale per ribadire al capo dello Stato che “non c’è una maggioranza” e per chiedere il ritorno alle urne. In un’intervista a La Verità, Berlusconi ha dichiarato che “Renzi si è ritirato dal governo che lui stesso si era vantato di aver fatto nascere un anno fa. Ha aperto una crisi politica ma fin qui non ha potuto o voluto andare fino in fondo. Se al Senato Italia viva avesse votato no alla fiducia, il governo Conte non esisterebbe più. Credo che questa crisi sia davvero pericolosa e vada risolta molto in fretta o con un governo di segno diverso oppure con le elezioni, secondo ciò che il Presidente della Repubblica riterrà più opportuno”. Mentre Lega e Fratelli d’Italia sono fermi sul no a un esecutivo di unità nazionale, il leader di Forza Italia però non sembra escluderlo del tutto. Così come Renato Brunetta e l’asse Carfagna-Toti. Uno scenario che ricalcherebbe la “maggioranza Ursula” che a Bruxelles permise il via libera di Von der Leyen al vertice della Commissione Ue, ma che per Pd e M5s non può prescindere dal nome di Conte.

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