Alla vigilia del primo anniversario del lockdown dei suoi 11 milioni di cittadini, Zhou Xianwang si è dimesso da sindaco di Wuhan, il capoluogo dell’Hubei ed epicentro dell’epidemia di Covid 19. Zhou era il primo cittadino della città durante la lotta al coronavirus. Tra le critiche sulla risposta tardiva da parte del governo cinese, Zhou fece a gennaio 2020 una rivelazione pesante: oltre 5 milioni di residenti di Wuhan erano partiti per le vacanze in patria e all’estero per il Capodanno lunare. La sua mossa portò diversi Paesi a decidere lo stop ai voli dalla Cina.

Un anno fa, il 23 gennaio, veniva imposto il lockdown nella città, ma per molti sembrava una vicenda di un paese lontano. Oggi, nella città cinese di 11 milioni di abitanti dove tutto è cominciato, la vita è quasi tornata alla normalità, ma molte domande rimangono ancora senza risposta, dall’origine dell’infezione ai reali numeri dei morti e i contagiati. Proprio in questi giorni è finalmente arrivata la missione di esperti dell’Oms per indagare sulle origini del virus. Il lockdown fu imposto due giorni prima dell’inizio del capodanno cinese, ricorrenza durante la quale milioni di persone si mettono in viaggio per andare a trovare i famigliari. La città fu completamente isolata, la gente chiusa in casa, si poteva uscire solo per fare la spesa, indossando la mascherina e rispettando le distanze. Altri paesi, compreso il nostro, organizzarono voli aerei speciali per riportare a casa i connazionali. Il confinamento a Wuhan, poi esteso a gran parte del resto della Cina, fu sollevato solo dopo 76 giorni. I dati ufficiali parlano di 3800 morti in città e circa 50mila contagi. Fra loro anche Li Wenliang, il medico eroe che per primo denunciò, inascoltato, l’insorgenza del nuovo virus, e ne morì il 7 febbraio.

“Non possiamo parlare di quello che abbiamo passato. Così il trauma non se ne va”, dice al Post, Guo Jing, che raccontò in un diario i 76 giorni del lockdown. “Vedere anziani che cascano a terra, donne incinte che non sapevano dove partorire, ospedali senza disinfettante, lavoratori senza mascherine, chiedersi se la febbre che hai è influenza o covid, non può capirlo se non lo hai sperimentato”, nota Zhou Ying, 48 anni, che si adoperò come volontario nella consegna di materiale protettivo per gli ospedali. Intanto il ricordo ufficiale di quanto è accaduto viene affidato a “Wuhan, giorni e notti”, un documentario che celebra “il miracolo cinese”, coprodotto dalla Tv di stato in occasione del primo anniversario. Si vedono medici in tuta protettiva che tengono la mano di un’anziana allettata, promettendo dure 24 ore su 24, persone in paziente attesa in fila, volontari che distribuiscono cibo.

Ma alla luce di quello che è successo poi in altri paesi, delle immagini degli ospedali in difficoltà, dell’alto numero di urne cinerarie consegnate ai parenti, vi sono molti dubbi sul reale numero delle vittime a Wuhan. Anche perché il mese scorso il Centro cinese per il controllo e al prevenzione delle malattie ha diffuso dato di uno studio secondo il quale in aprile il 4,4% degli abitanti della città aveva anticorpi del covid-19, il che fa pensare a mezzo milioni di contagiati. A Wuhan la vita funziona ora quasi normalmente, con uffici, scuole, bar, ristoranti e negozi aperti. Ma la gente indossa ancora la mascherina e vi sono app che controllano lo stato di salute e i movimenti delle persone. La propaganda ufficiale indica Wuhan come ‘città eroica’ e loda il successo del governo e del partito comunista cinese nell’aver ormai quasi sconfitto la pandemia in tutto il paese, mentre procede il programma di vaccinazione di massa.
Ma la gente di Wuhan porta dentro di sé ferite psicologiche, domande senza risposta. E non parla volentieri con gli stranieri, per paura di ripercussioni. A dicembre, le autorità cinesi hanno condannato a quattro anni di carcere Zhang Zhan, una dei ‘citizen journalist’ che avevano raccontato sui social il dramma di Wuhan. E in questi giorni il social cinese Weibo ha bloccato tutte le ricerche collegate all’anniversario. Domenica è stato chiuso un gruppo su WeChat che riuniva 100 parenti di vittime, fra cui il 51enne Zhanh Hai, fra i più attivi a chiedere spiegazioni e risarcimenti alle autorità.

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