“Sono un medico iscritto all’Ordine, da tre anni lavoro all’emergenza-urgenza in Veneto. Ogni giorno porto malati Covid al pronto soccorso, ma lì mi devo fermare: per lo Stato, purtroppo, non posso lavorare direttamente”. Artes Mameli, dottoressa albanese di 28 anni, è coordinatrice dei giovani medici per l’Associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi). Anche lei fa parte di un grande “esercito bianco” di medici e infermieri che restano fuori dalle corsie, anche se sulla porta-vetri degli ospedali sbattono le raffiche della seconda ondata, e ogni regione ne lamenta la disperata mancanza. “In realtà ci lavoriamo, ma restando sempre ai margini, tramite cooperative o nel privato, sempre a partita Iva. E come me, migliaia di altri medici”.

Ed ecco servito il paradosso: da inizio emergenza le Regioni lamentano la mancanza di personale sanitario, ma nulla fanno per usare quello straniero che già hanno. Piuttosto che impiegarlo, lo vanno a cercare all’estero. Parlano italiano, sono iscritti ai rispettivi albi professionali e sono medici e infermieri a tutti gli effetti. Sono meno capaci di quelli italiani? Sono meno volenterosi? Hanno lauree e abilitazioni di serie C? Nulla di tutto questo, l’esclusione dei medici stranieri si deve a un pezzo di carta: il requisito della cittadinanza italiana. “E’ surreale ma è così – denuncia Artes – . Regioni e Ats escludono sistematicamente i professionisti stranieri, nonostante il Governo abbia disposto una deroga fin dalla prima ondata. La verità? In Italia, purtroppo, sono ancora burocrazia e discriminazione a dettar legge”.

Il nostro Paese scopre così, nella stagione più drammatica dal suo dopoguerra, il prezzo delle scelte xenofobe degli ultimi 20 anni e della mancate politiche di immigrazione e integrazione qualificata. Miopia, burocrazia e pregiudizio stanno impedendo anche oggi, con gli ospedali prossimi al collasso, di reclutare nel pubblico una forza lavoro che sarebbe pronta a entrare in reparto. A sbattergli la porta in faccia sono proprio le amministrazioni delle Asl e degli ospedali che ne avvertono la mancanza. Sono loro a bandire concorsi con il requisito ad excludendum della cittadinanza italiana o europea e lo fanno pure contra legem, perché il Cura Italia aveva aperto le porte del Servizio sanitario nazionale ai professionisti stranieri.

L’articolo 13 del decreto di marzo consente l’assunzione temporanea – fino a fine emergenza – di personale sanitario non appartenente all’Unione Europea, purché titolare di permesso di soggiorno che “consente di lavorare, fermo ogni altro limite”. Dalle regioni e dalle loro emanazioni sanitarie territoriali si è però levato un muro di gomma. Succede ovunque servirebbero rinforzi: a Bergamo, Civitavecchia, a Matera (il bando è ancora in corso), in Umbria. Fino al caso del Piemonte che, con 10 bandi tutti per medici di cittadinanza italiana, ha spinto tre associazioni mediche a denunciare pubblicamente il mancato rispetto della norma. Tra queste proprio l’Amsi, il cui presidente è il fisiatra palestinese Foad Aodi, dal 2002 consigliere dell’ Ordine dei Medici di Roma. “Stiamo vivendo una pagina nera. I medici stranieri in Italia che potrebbero aiutare i loro colleghi sono un esercito di invisibili che trova spazio solo nel privato o ai margini del sistema. Succede da sempre, ma che succeda mentre la gente muore è inaccettabile”. Anche perché all’estero, Berlino e Parigi in testa, si lavora nella direzione opposta.

I numeri
Sul territorio nazionale sono 77.500, tra cui 22 mila medici e 38 mila infermieri. Tra i medici, solo 5 mila lavorano nel pubblico, oltre 15 mila sono assunti nel privato (e, nelle cliniche, spesso sottopagati) e circa 2 mila lavorano da liberi professionisti. Quasi il 60% di loro, dunque, lavora fuori dalla sanità pubblica. Questa la fotografia, questo il problema. “Ad aprile il governo aveva approvato una deroga che avrebbe consentito di impiegare i medici stranieri ma è rimasta sulla carta. Le regioni fanno come vogliono, la maggior parte l’ha interpretata a piacimento. Il Veneto, ad esempio, ha preferito cercare sanitari in Romania piuttosto che impiegare quelli sul suo suolo. E ancora non bastano, perché ne va cercando 1300. Perfino il Piemonte lo ha fatto. E noi giustamente lo abbiamo denunciato”.

Il caso Piemonte, il contro-caso Emilia Romagna
La regione di Cirio è emblematica. Venerdì è rimasta con 10 posti di terapia intensiva nei suoi reparti. Lunedì, per tutta risposta, annuncia una “task force” per aumentarle. Ma contestualmente ammette la mancanza di personale per attivarle, e apre alla possibilità di impiegare gli specializzandi in rianimazione. Eppure è la stessa che con una delibera ha escluso tutti i medici extracomunitari, anche se sono in regola e pagano le tasse ed esercitano la professione medica. “E’ una cosa francamente inaccettabile ma deve essere risolta una volta per tutte spazzando via la discriminazione”. Che dietro l’esclusione non si celino ragioni insormontabili lo dimostra il caso opposto dell’Emilia Romagna. Fin da subito la regione di Bonaccini ha scommesso sull’apporto dei medici stranieri. L’indomani della deroga inserita nel Cura Italia ha emanato bandi ad hoc per il loro reclutamento: Manifestazione di interesse per esercizio temporaneo professione sanitaria conseguita all’estero e regolata da specifiche direttive dell’Unione Europea (in attuazione dell’art. 13 del Decreto-Legge del 17 marzo 2020 n. 18.).

La proposta: “Cittadinanza dopo 5 anni”
L’associazione aveva avanzato una proposta. “I medici stranieri possono fare la differenza nell’emergenza Covid. Per consentire il loro apporto abbiamo chiesto che chi ha un’esperienza lavorativa di almeno 5 anni in Italia sia ammesso ai concorsi pubblici – afferma il presidente Amsi – e che, dopo averlo passato, possa iniziare il suo percorso verso la cittadinanza. E’ una soluzione che non trova ostilità da parte dei colleghi italiani perché siamo tutti allineati sulla necessità di tutelare le qualifiche dei medici al di là della provenienza o del colore della pelle. Non c’è concorrenza al ribasso, non c’è competizione tra medici. Siamo tutti allineati sul pagarli di più e anche quelli italiani sono d’accordo nel trattare gli stranieri non come medici di serie B, che vergono utilizzati per tappare i buchi nei tempi normali, perfino ignorati nell’emergenza piuttosto che riconosciuti. C’è solo una cosa ci allontana, ed è la politica discriminatoria. Gli stessi italiani dicano “basta”.

Germania e Francia, cittadinanza per meriti di servizio
E’ esattamente quel che stanno facendo i nostri vicini d’Oltralpe, Germania e Francia in testa. Proprio oggi il governo francese ha annunciato l’intenzione di accelerare la “naturalizzazione degli stranieri in prima linea che hanno dato un contributo fondamentale nell’emergenza”. Medici e infermieri ma non solo, anche netturbini, cassiere. Il ministro dell’Interno anticipando un vademecum per le prefetture. Anche la Germania chiede anche ai medici migranti di aiutare a combattere il coronavirus. La Sassonia, dove più forte picchiano i dati, ha aperto il dibattito avviando una campagna che invita i medici stranieri, a partire dalle migliaia di rifugiati siriani approdati dal 2015, a farsi avanti. “Chiunque sia in grado di aiutare si metta in contatto”, recita lo slogan dell’associazione medica di Lipsia.

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