di Diego Battistessa*

Due marce nazionali, sei giorni di protesta: Lima, così come il resto del Paese, è in subbuglio perché da lunedì 9 novembre assiste a quello che molti costituzionalisti già definiscono un “Golpe de Estado blando”. Due studenti di 22 e 24 anni sono stati uccisi (sabato 14 novembre) mentre centinaia sono già i feriti (e decine i desaparecidos) per la repressione poliziesca alle proteste. Il popolo manifesta per il rovescio politico che ha portato alla destituzione del presidente Martín Vizcarra. La mozione presentata per rimuoverlo dal suo incarico è stata votata da 105 membri del Congresso della Repubblica (su 130) che ha sancito la “permanente incapacità morale” di Vizcarra per ricoprire quel ruolo.

Il Congresso (in Perù il Parlamento è unicamerale) ha così forzato la mano presentando una mozione di destituzione (la seconda, visto quella non riuscita di settembre scorso) allegando presunti crimini di corruzione dei quali Vizcarra si sarebbe macchiato mentre era governatore della regione di Moquegua tra il 2011 ed il 2014. La destituzione si basa sull’interpretazione dell’art. 113 della Costituzione che stabilisce che il ruolo di presidente può essere dichiarato vacante se la persona che ricopre l’incarico non è in capacità fisica o morale per esercitare le funzioni.

Questo è pero solo l’ultimo capitolo di una lotta tra potere legislativo ed esecutivo che in Perù ha profonde radici e che aveva visto proprio Vizcarra sciogliere il Congresso il 30 settembre 2019 applicando l’art. 114 della costituzione. Questo ha provocato le elezioni parlamentari straordinarie del 26 gennaio 2020 che hanno portato alla nomina dei nuovi 130 membri del Congresso: gli stessi dell’attuale mozione di destituzione. L’ex presidente nel suo ultimo discorso ha ribadito che 68 dei congressisti che lo giudicavano sono attualmente indagati, alcuni per crimini gravi come tortura e assassinio.

In mancanza di un vicepresidente (Mercedes Aráoz si è dimessa a maggio 2020) il presidente del Congresso Manuel Merino (che ha votato per la destituzione) ha assunto la presidenza nominando un governo provvisorio. Con Merino alla presidenza però gli scontri di piazza si sono intensificati fino al punto algido toccato la notte del sabato. A radice di ciò, domenica pomeriggio lo stesso Merino ha presentato dimissioni irrevocabili che di fatto lasciano acefalo il paese (il congresso non ha trovato l’accordo per nominare un successore).

Continua così in Perù la serie dei colpi di scena politici, visto che Pedro Pablo Kuczynski, il predecessore di Vizcarra, si era dimesso a sua volta il 23 marzo 2018, prima della votazione per la seconda mozione di destituzione sempre in relazione a casi di corruzione. Uno scenario di profonda instabilità con all’orizzonte le elezioni già programma per l’11 aprile 2021 nella quali il popolo peruviano sarà chiamato a votare il presidente, i vicepresidenti, i 130 parlamentari e i 5 rappresentanti del parlamento andino (organo parlamentare della comunità andina con sede a Bogotà) per il periodo 2021-26.

In questo contesto caotico che vede il Perù devastato dalla pandemia (uno tra i paesi al mondo con il più alto indice di contagi e morti per numero di abitanti), si vive anche un anniversario simbolico ed epocale. Infatti, la formula usata per la destituzione di Vizcarra aveva solo un precedente in Perù, quello di Alberto Fujimori destituito per “incapacità morale” mentre si trovava in fuga in Giappone, il 21 novembre 2000. Con quella mozione si chiudeva una presidenza durata 10 anni (dal 1990 al 2000) e che si saldava con un bilancio di più di 20 processi aperti contro Fujimori per corruzione, multiple denunce per violazioni dei diritti umani e numerose stragi.

Sotto la presidenza Fujimori, attraverso la supervisione del suo assessore e braccio destro Vladimiro Montesinos, vennero infatti perpetrate le stragi di Barrios Altos (3 novembre 1991), di Santa (2 maggio 1992) e quella de La Cantuta (Lima, 18 luglio 1992). Questi massacri furono operati dal Grupo Colina, un vero e proprio squadrone della morte (non l’unico) creato dall’apparato statale peruviano agli inizi degli anni ‘80 e guidato dal maggiore Martín Rivas, per giustiziare gli integranti del Partito Comunista del Perù – Sendero Luminoso (Pcp-Sl).

Oltre a questi delitti, sempre nel Fujimorato (periodo di presidenza di Fujimori) si inizia il piano di sterilizzazione chirurgica volontaria volto a sterilizzare decine di migliaia di donne indigene della Ande peruviane. Oggi esistono forti dubbi e numerose denunce che mettono in discussione la reale volontarietà del processo e un fronte internazionale sempre più ampio chiede verità e giustizia per quanto accaduto.

*Docente e ricercatore dell’Istituto di studi Internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” – Università Carlos III di Madrid. Latinoamericanista specializzato in Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Migrazioni.
www.diegobattistessa.com

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