Diciassette bambini sono stati ricoverati durante il mese di novembre nel reparto di Pediatria dell’ospedale di Padova, dove attualmente si trovano 170 adulti. Un rapporto tra adulti e bambini che sta evolvendo, in senso negativo, rispetto a quello che era accaduto a marzo-aprile durante la prima ondata della pandemia. Padova è diventato il punto sanitario del Nordest in cui vengono assistiti i positivi più gravi con età inferiore ai 15 anni. Attualmente i ricoverati sono 13, tra cui quattro neonati. Il reparto si è organizzato con stanze singole o a due letti. Per favorire la guarigione dei piccoli paziente viene consentita la permanenza dei genitori. Le stanze doppie vengono occupate da bambini le cui condizioni cliniche sono simili, per non esporli a rischi di aggravamento.

A dirigere la struttura è la professoressa Liviana Da Dalt, ordinario di Pediatria all’Università di Padova e direttore del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino e del Pronto Soccorso pediatrico dell’Azienda ospedaliera patavina. La dottoressa spiega: “Siamo arrivati ad avere 17 ricoverati, ma il numero è sceso a 13 grazie a tre dimissioni e un trasferimento. Padova presenta i numeri più significativi perché è un punto riferimento – indipendentemente dall’emergenza-Covid – per la cura di patologie complesse o croniche, che colpiscono i più piccoli”. La positività al Covid in un certo numero di pazienti, subito trasferiti nell’apposito reparto, è emersa durante i controlli per altre patologie di cui soffrono.

Ma quali sono le ragioni di un così significativo abbassamento dell’età? “I bambini piccoli e sicuramente i neonati sono stati contagiati, molto probabilmente, in ambito familiare dagli adulti. Per i ragazzini, invece, il discorso è inverso”. Le parole della professoressa suonano da allarme e ammonimento per i genitori: “A causare l’impennata in generale dei casi pediatrici sono gli stili di vita, non tanto all’interno delle scuole dove la sorveglianza nelle classi è assicurata, quanto prima e dopo, durante i momenti di aggregazione o di viaggio, in cui è più facile che si dimentichino di rispettare distanze e prescrizioni. E questo è uno dei motivi per cui gli infettati sono di più rispetto al periodo del lockdown”. Attualmente sono il 7 per cento dei casi totali, mentre tra marzo e maggio erano circa il 2 per cento.

I medici si trovano di fronte a una casistica limitata, ma hanno notato come le conseguenze dovute al contagio nei bambini siano rare. Aggiunge la professoressa Da Dalt: “I ricoverati vengono sottoposti a terapie sintomatiche, anche perché non esistono cure di provata efficacia per questa fascia di età. Ma nessuno dei bambini o dei ragazzini positivi al tampone presenta manifestazioni particolarmente gravi, e neppure evidenti”. La situazione viene monitorata e i piccoli sono trattenuti nel reparto per due ragioni: “Per la loro tenerissima età, mi riferisco a poche settimane di vita oppure per la presenza di una malattia cronica, che ci spinge ad avere una maggiore cautela. Tutti gli altri vengono mandati a casa, con le indicazioni e le raccomandazioni che ogni singola situazione richiede. Cerchiamo di riservare i posti ai malati con una situazione pregressa che richiede un’attenzione maggiore o alla fascia neonatale”.

Nel reparto di terapia intensiva di Padova è ricoverato un bimbo di due anni in condizioni critiche a causa di patologie pregresse, con problemi cardiaci. Il direttore generale dell’Azienda ospedaliera, Luciano Fior, spiega: “Siamo impegnati 24 ore su 24 a fornire tutta l’assistenza necessaria alla ripresa del bambino. Attualmente è in uno dei due posti letto di rianimazione previsti all’interno dell’area Covid in Pediatria. È quindi isolato, in modo da garantire la massima sicurezza a tutti gli altri”.

Foto di archivio

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