Si fanno sempre più insistenti le pressioni su Palazzo Chigi per varare un nuovo lockdown nazionale entro il weekend, dagli appelli che arrivano da medici e infermieri alla decisione di inserire altre 5 Regioni in zona arancione, fino ai report dell’intelligence sui rischi sanitari e sociali nel Paese. Ma se si guarda all’andamento delle curve su base settimanale, che poi è quello che più conta in termini statistici, cominciano a vedersi i primi segnali di miglioramento. A partire dal numero dei contagi, che non aumentano più in modo repentino come a inizio ottobre. In Lombardia, dopo che a metà del mese scorso i nuovi casi avevano registrato l’impennata record del 213,8% rispetto ai 7 giorni precedenti, la curva è iniziata a scendere: fino a ieri, quando l’aumento dei positivi su 7 giorni è stato solo dell’8,1% (oggi si risale al 12%, ma la tendenza è verso la stabilizzazione). Per comprendere meglio i dati, però, è necessaria una premessa: la situazione in tutto il Paese resta drammatica, con i morti di nuovo sopra quota 500 e le terapie intensive che, denuncia il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, vanno verso la saturazione. Tutte conseguenze dei contagi accertati due-tre settimane fa, se si considera il tempo medio di permanenza dei malati Covid negli ospedali. I numeri relativi all’occupazione dei posti letto e ai decessi, quindi, sono destinati a peggiorare ancora e ancora. Quella che mostrano i grafici settimanali è piuttosto una tendenza, comunque positiva, che può portarci a stretto giro al picco dei casi e poi al successivo calo.

“Il merito è della risposta delle persone alla percezione del pericolo e delle prime misure restrittive, dalla stretta anti-movida al coprifuoco“, spiega Paolo Spada, chirurgo dell’Humanitas di Milano che dall’inizio della pandemia è seguitissimo sui social per le sue analisi sui dati, elaborate in team con l’epidemiologa Sara Gandini e il virologo Guido Silvestri. In Lombardia, aggiunge, “il picco dell’infezione potrebbe arrivare già questa settimana. Ma per vederne gli effetti sugli ospedali, bisognerà aspettare quella latenza che c’è tra il contagio, l’insorgenza della malattia e le complicazioni che portano al ricovero“. Ciò significa che la massima occupazione dei posti letto – a patto che il sistema regga – si avrà solo tra due-tre settimane. “Per questo penso che un nuovo lockdown non sia ragionevole. Farlo adesso non cambierebbe nulla nell’immediato”, spiega Spada. “Serve calma e sangue freddo, dobbiamo ancora verificare l’efficacia della divisione del Paese in tre aree. La speranza è che il virus rallenti ancora, come sta già avvenendo, per poi iniziare a retrocedere. Semmai servono restrizioni locali nelle province più critiche e interventi per alleggerire la pressione sugli ospedali”.

Dalle prime restrizioni al rallentamento del virus – Per sapere come sta davvero andando la pandemia, serve inoltre imparare a leggere i dati diffusi ogni giorno dal ministero della Salute. “Confrontare i contagi di oggi con quelli di ieri non ha mai senso”, chiarisce Spada. “Ci sono fluttuazioni statistiche importanti, dai dati che arrivano in ritardo dalle Regioni alla variazione dei tamponi”. Nemmeno il rapporto quotidiano tra positivi e casi testati ha più senso, aggiunge l’esperto. “Rispetto agli scorsi mesi si fanno tantissimi test rapidi che fanno da filtro, aumentando lo screening sulla popolazione. Però non vengono contati nel totale dei tamponi, quindi il tasso di positivi è sempre più alto rispetto alla realtà”. Gli unici dati che hanno valore, quindi, sono quelli settimanali. E l’andamento registrato a livello nazionale non lascia spazio a dubbi: da quando sono entrate in vigore le prime restrizioni e il livello di allerta nel Paese è tornato a salire, il Covid-19 ha iniziato a circolare con minore accelerazione. Basta fare attenzione alle date: a fine settembre l’incremento dei casi rispetto ai 7 giorni precedenti era intorno all’11%, nel giro di 15 giorni è aumentato di dieci volte. Nel mezzo, però, è stato approvato il dpcm che ha imposto l’obbligo di mascherina all’aperto in tutta Italia e l’allerta mediatica è tornata a salire.

“Non è certamente quell’obbligo da solo ad aver cambiato le cose, ma di fatto trascorsi dieci-quattordici giorni da quella data, i nuovi contagi non sono più aumentati alla stessa velocità di prima”, commenta Spada. I provvedimenti del governo e delle Regioni si sono susseguiti a cadenza pressoché settimanale: il 16 ottobre il Pirellone ha varato una prima stretta alla movida, vietando la consumazione di alimenti e bevande all’aperto dopo le 18, chiudendo i ristoranti alle 24, le sale bingo, limitando una serie di attività sportive. Il 18 ottobre l’esecutivo ha emanato un dpcm analogo e valido in tutta Italia. Poi si è arrivati al 22 ottobre, quando in Lombardia è scattato il coprifuoco dalle 23 alle 5 e sono stati chiusi i centri commerciali nei weekend. Ordinanze simili sono state prese da Nord a Sud. Altra corsa, altro giro: nuovo dpcm il 24 ottobre con la chiusura di bar e ristoranti alle 18 e lo stop a piscine e palestre. Durante l’intero periodo, i contagi sono cresciuti sempre più lentamente su base settimanale. La speranza è che ora si arrivi al picco. E che il dpcm del 3 novembre, cioè quello che ha diviso l’Italia in tre, possa far finalmente diminuire i casi. Ieri i nuovi contagi sono saliti del 21,1% rispetto a 7 giorni fa, oggi siamo sostanzialmente alla stessa percentuale, che in Lombardia è ancora più bassa. In altre Regioni va ancora meglio, come Valle d’Aosta (+1,1%) e Molise (-2,1%), anche se per la classificazione di rischio pesano pure altri fattori.

L’impatto dei contagi sui posti letto – Il problema è che gli ospedali potrebbero non reggere all’urto. “Anche nel caso dei ricoveri c’è un rallentamento su base settimanale”, chiarisce Spada, che insieme a Silvestri e Gandini gestisce il progetto Facebook Pillole di ottimismo. “Il punto è che ogni aumento va aggiunto al totale dei posti letto già occupati. Anche se la percentuale di incremento quotidiano fosse dello 0%, quindi, ogni settimana ci sarebbe lo stesso numero di ricoveri della settimana precedente. È già qualcosa, ma è necessario arrivare presto al picco e poi al calo”. Quando? “È verosimile che il picco dei ricoveri arrivi 3 settimane dopo quello dei contagi. Poi è plausibile che entrambi inizino a diminuire“. In sostanza, ci aspettano settimane ancora dure, eppure erano ampiamente previste e prevedibili. “Il fenomeno che in questo momento ci spinge a pensare che sia necessario un lockdown, cioè il carico ospedaliero, lo avevamo previsto il 21 ottobre”, insiste Spada, che però sottolinea: “Il 24 ottobre il governo ha reagito. Tutto sommato c’è stata la giusta attenzione per non impattare troppo sulla vita delle famiglie. Ora bisogna solo non farsi prendere dal panico“.

Spada: “Servono sforzi per alleggerire carico sugli ospedali” – Secondo l’esperto, quindi, “è inevitabile, gli ospedali si riempiranno ulteriormente per effetto dei contagi di questi giorni”. Da qui l’ipotesi che un lockdown bis su scala nazionale non sia la giusta soluzione. “Dobbiamo sperare che i segnali positivi della curva, e gli effetti delle aree rosse, arancioni e gialle, si rafforzino. Lo vedremo nei prossimi giorni in Lombardia e nel resto del Paese la settimana prossima”, chiarisce Spada. La sua proposta è che si pensi invece a varare misure più stringenti in alcune province ancora duramente colpite (va male a Torino, Caserta, Belluno, Verona). E soprattutto ad “alleggerire il carico sugli ospedali. Servono residence e hotel per i malati post fase acuta. Se bisogna aspettare che un paziente sia pienamente guarito prima di rimandarlo a casa, il turnover dei posti letto è troppo lento. Non vedo come un provvedimento ulteriormente restrittivo, i cui effetti si vedranno solo a fine novembre, abbia senso adesso”.

Sullo sfondo restano le difficoltà, da parte delle istituzioni, nell’adottare misure che possano anticipare gli effetti del virus, anziché inseguirli. “Lo abbiamo visto in questi giorni, con l’Iss che si è rifatto ai dati di due settimane fa per valutare quali Regioni inserire in area gialla, arancione e rossa. L’indice Rt ha un valore predittivo, ma se viene utilizzato con 10 giorni di ritardo perde di efficacia”, sottolinea Spada. La colpa, però, non sembra stare a Roma, come hanno intenzione di accertare diverse procure, tra cui quella di Genova. “Ogni Regione fa da sé, manda numeri in ritardo, ci sono omissioni ed errori, pacchetti di dati a blocchi. Se è questo il meccanismo che deve guidare decisioni di grande portata come il lockdown, è evidente che poi le conseguenze si pagano”.

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