“Il tempo per disegnare la strategia d’intervento per il contenimento della seconda ondata l’abbiamo avuto. Se l’abbiamo sprecato, non significa necessariamente che dobbiamo andare a sbattere. C’è ancora tempo per evitare il lockdown generalizzato, però se aspettiamo di avere 40mila contagi giornalieri, arriveremo a 500 morti al giorno. Non ci sono molte ipotesi alternative “. Sono le parole pronunciate ai microfoni de “L’Italia s’è desta”, su Radio Cusano Campus, dal presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, che lancia un invito all’unità tra governo, presidenti di Regione e sindaci e soprattutto a un intervento immediato di azione.

Cartabellotta spiega che da 3-4 settimane l’incremento esponenziale riguarda in modo impressionante tutte le curve: quella dei contagi, quella delle terapie intensive, quella dei ricoverati e quella dei decessi. E aggiunge: “Sono curve tutte identiche e quasi indistinguibili. Quello che a me preoccupa è la mancanza di strategie. Non c’è un numero magico oltre il quale dobbiamo decidere. Quel che è certo è che i contagi trattati a livello domiciliare potrebbero anche aumentare all’infinito: adesso ammontano a circa 300mila, ma potrebbero arrivare a 2 milioni. Il vero problema è che il 6-7% dei positivi va in ospedale, dove ci sono colli di bottiglia rappresentati dai posti letto – continua – In più, lo 0,5-0,6% degli ospedalizzati finisce in terapia intensiva. Se gli ospedalizzati e i pazienti in terapia intensiva ormai da 3 settimane crescono del 60-65% a settimana, ci avviciniamo al punto di saturazione e nello stesso tempo la curva dei decessi sta cominciando a impennarsi anch’essa. Cioè il servizio sanitario ospedaliero sta già andando in sofferenza, e non solo per l’assistenza dei malati covid, ma anche per tutti gli altri pazienti. Ad esempio, si cominciano già a rinviare interventi chirurgici programmati”.

Il medico sottolinea: “Quello che va fatto capire alla popolazione, anche per farle accettare meglio le misure drastiche che sono arrivate e che potrebbero arrivare, è che abbiamo un collo di bottiglia assistenziale che non può essere superato. Ricordo che la maggior parte dei decessi che abbiamo avuto a fine marzo non era legata alla gravità della malattia o all’aggressività del virus, ma al fatto che il servizio sanitario è andato in tilt. E quando la capacità assistenziale viene saturata perché non riusciamo a tenere bassa la curva dei contagi, è evidente che poi c’è un punto di non ritorno, che oggi purtroppo non viene valutato con una tempestività adeguata. Oggi infatti leggiamo i numeri che riflettono i contagi di due settimane fa, quindi dobbiamo agire assolutamente oggi se vogliamo prevenire i numeri dei prossimi 15 giorni. Può darsi anche che i reali numeri odierni siano peggiori. Non possiamo prendere decisioni inseguendo i numeri del giorno, perché altrimenti siamo in costante ritardo. E’ come se avessimo una macchina che va velocissima: se non cominciamo a scalare le marce, andremo a sbattere“.

Cartabellotta pone l’accento sulla importanza delle chiusure locali: “Sin dai primi di settembre, quando in alcune aree del paese la curva dei contagi si stava impennando, sostenevamo che in questa seconda ondata bisognava agire con chiusure localizzate anche drastiche. E non mi riferisco solo alla Regioni, ma anche ai Comuni. Più ristretta è l’area geografica in cui interveniamo, tanto più evitiamo di coinvolgere il resto della zona e scongiuriamo il rischio di imporre una chiusura non proporzionale alla diffusione del contagio”.

Riguardo all’opportunità di chiusura anticipata di bar e ristoranti, il presidente della Fondazione Gimbe cita un recente studio pubblicato dalla rivista scientifica The Lancet circa l’efficacia delle misure restrittive sulla riduzione dell’indice Rt a 7, 14 e 28 giorni, in riferimento a 131 paesi del mondo: “Viene indicato come uno degli interventi necessari il divieto di eventi e assembramenti di oltre 10 persone. Questo permette di ridurre del 30% la curva dei contagi da qui a 28 giorni. Tutte le misure contenute nel nuovo dpcm e riguardanti bar, ristoranti, cinema, palestre e teatri hanno come macro-obiettivo questo – conclude – cioè fare in modo che non ci siano incontri con più di 10 persone. Questo è il primo step per poter attuare le misure di restrizione, quello che in alcuni paesi è chiamato “lockdown light”. Poi ci sono tutti gli altri interventi, come la limitazione della mobilità e la chiusura delle scuole, fino ad arrivare al lockdown totale. E’ fondamentale, però, che tutte queste cose vadano spiegate alla popolazione in maniera molto chiara, anche da parte delle istituzioni. Se non c’è un coordinamento tra tutte le forze che devono tutelare la salute e l’economia, noi non ce la facciamo“.

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