L’Inghilterra è sull’orlo del “lockdown nazionale” dopo il fallimento del giro di chiave imposto il 24 settembre dal primo ministro Boris Johnson per arginare la seconda ondata. Il controverso coprifuoco di pub e locali notturni alle 22 ha incentivato festini di strada e nelle abitazioni private, additate come ricettacoli per la propagazione del virus. In tutto le vittime sono più di 42mila, e i contagi 450mila. Su 16 milioni di britannici sono scattati lockdown localizzati e il divieto di incontrarsi in pub e ristoranti. I governi di Scozia, Galles ed Irlanda del Nord decidono autonomamente mentre Londra (30 casi per 100mila abitanti) resiste alla chiusura.

Il governo fatica a trovare l’equazione per salvare l’economia, trafitta dalla recessione peggiore degli ultimi 300 anni, e la salute di un popolo che “non riesce a rispettare le regole perché ama la libertà”, a detta di Boris Johnson. Dal 28 settembre l’obbligo di auto-isolamento è sancito da una legge che Downing Street ha promulgato senza lo scrutinio del Parlamento, tra la rivolta dei ribelli Tory contro le nuove regole come multe fino a 12mila euro per chi mente o viola l’isolamento, musica sotto gli 85 decibel nei locali, e controlli più stringenti della polizia.

Nel Regno Unito si prospettano 200 morti al giorno a novembre, quando l’inverno infierirà con un mix di virus stagionali. Nonostante questo, i No Mask continuano a scendere per strada, ammassati, a Londra. Gli assi nella manica di Johnson sono la nuova app di tracciamento ed il programma di tamponi a tappeto denominato “Operazione Moonshot” per riparare al fiasco degli appuntamenti introvabili. L’asse del consenso politico intanto si inclina dalla parte dei Laburisti di Keir Starmer al 42% contro il 39% di Johnson, punito per i retromarcia e i suoi messaggi confusi.

(di Giorgia Scaturro)

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