di Diego Battistessa*

Lo denunciavano da anni le Ong e le fondazioni locali come Il Foro Penal e Cepaz, ne discutevamo rilanciando queste denunce in università, giornali e spazi accademici internazionali, lo raccontavano gli esuli e lo aveva poi messo nero su bianco l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, il 4 luglio 2019 (concetto ribadito anche con il documento di monitoraggio del 2020) e alla fine è arrivata conferma definitiva il passato 15 settembre: in Venezuela sono state commesse violazioni sistematiche dei diritti umani.

Lo dice il rapporto finale della missione Onu guidata da Marta Valiñas, che tipifica i crimini riscontrati come di lesa umanità. Il punto dirimente arriva però con la chiara identificazione, come responsabili diretti di tali violazioni, degli alti rappresentanti dell’attuale governo del Venezuela.

Spiccano tra le pagine del rapporto, nel punto 164, le responsabilità del Presidente Nicolas Maduro, del Ministro della Giustizia, Néstor Reverol (militare di carriera già capo della Guardia Nazionale Bolivariana ) e del Ministro della Difesa, Vladimir Padrino López (anche lui militare di carriera).

Oltre a loro vengono identificati anche i dirigenti del Sebin (il servizio di intelligence venezuelano) cosi come altre 45 alte cariche del governo. I casi analizzati sono stati 223 dei quali alcuni, per competenza giuridica, verranno inviati alla Corte Penale Internazionale (che già nel 2018 aveva iniziato a raccogliere dati per una possibile denuncia per crimini di lesa umanità contro il governo venezuelano).

Il 27 settembre 2019, il consiglio dei Diritti Umani dell’Onu, con la risoluzione 42/25, costituiva la missione indipendente per la verificazione dei fatti accaduti dal 2014 in avanti in relazione alle molteplici denunce di violazione dei Diritti Umani in Venezuela. La notizia fa seguito al rapporto che Michelle Bachelet rende pubblico il 4 di luglio 2019 presentando un quadro di abusi, repressione politica, violenza indiscriminata delle forze dell’ordine e una condizione di particolare vulnerabilità per le donne in tutto il paese.

All’inizio di quello stesso anno, Juan Guaidó, eletto come presidente dell’Assemblea Nazionale del Venezuela (unico organo istituzionale in mano all’opposizione dal 2015), dichiara vacante la carica di presidente della Repubblica, non riconoscendo le elezioni presidenziali avvenute l’anno prima e assume ad interim la guida del paese. La comunità internazionale si divide, il giovane Guaidó esponente del partito Voluntad Popular (alla cui guida si trova Leopoldo Lopez) viene sostenuto da 51 paesi (tra cui Usa ed Unione Europea ad esclusione dell’Italia), mentre potenze internazionali come Cina e Russia continuano il loro appoggio a Maduro.

In questo scenario incerto trascorre un anno pieno di colpi di scena: tra gli altri il concerto di Cúcuta a febbraio e il tentavo di Guaidó di far sollevare le forze armate contro Maduro il 30 di aprile dalla base aerea militare de La Carlota a Caracas.

Le denunce sulle violazioni dei Diritti Umani continuano per tutta la fine del 2019 così come le denunce degli abusi subiti dagli indigeni nella zona dell’Arco Minerario dell’Orinoco (un progetto di estrazione mineraria già pianificato da Chávez e che tocca il 12% della superficie del Venezuela includendo terre ancestrali di popolazioni indigene). Nonostante questo ad ottobre 2019, con una magistrale manovra diplomatica, il governo di Nicolas Maduro riesce ad ottenere i voti necessari per conquistare un seggio nel consiglio dei Diritti Umani dell’Onu, generando non poca indignazione a livello internazionale.

Poi a gennaio 2020 arriva l’incredibile assalto dei deputati dell’opposizione, ad un parlamento blindato dalla polizia bolivariana che vuole impedire la rielezione di Guaidó come presidente dell’Assemblea. Il tentativo di Maduro di corrompere alcuni deputati dell’opposizione e dare una spallata all’Assemblea però non riesce e il 2020 inizia con un tour di Guaidó in Europa per consolidare il suo incarico politico. Fatto cruciale di questo 2020 saranno le elezioni per rieleggere i deputati dell’Assemblea Nazionale previste per il 6 dicembre.

Qui l’opposizione si è però divisa. L’avversario storico di Chàvez, il leader del Partito Primero Justicia, Henrique Capriles Radonsky ha dichiarato pochi giorni fa di aver negoziato con Maduro la liberazione di 110 prigionieri (tra cui diversi prigionieri politici) in cambio della legittimazione di una tornata elettorale che sembra già scritta e sulla quale mancano certezza di regolarità e trasparenza.

Insomma, Maduro sembrava prepararsi ad una vittoria facile alle elezioni parlamentari e riprendere così la totalità del controllo istituzionale (Maduro aveva esautorato dei suoi poteri l’Assemblea Nazionale nel 2017 creando un’Assemblea Costituente presieduta oggi da Diosdato Cabello) ma la “tegola” del rapporto Onu potrebbe complicare molto le cose: nel frattempo 5,2 milioni di venezuelani sono già migrati all’estero e il Covid-19 sta dando il colpo di grazia ad una economia devastata.

*Docente e ricercatore dell’Istituto di studi Internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” – Università Carlos III di Madrid. Latinoamericanista specializzato in Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Migrazioni. www.diegobattistessa.com

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