Scienza

Costruire un’arca di Noè 2.0 e trovare un Pianeta B. Un altro sogno degli astrofisici

“There is no planet B” (“Non c’è nessun pianeta B”) dicono gli ambientalisti americani, e non solo. Ma per qualcuno c’è. Stephen Hawking, il famoso e compianto astrofisico, lamentò lo stato in cui stiamo riducendo il pianeta e si rese conto della insostenibilità del nostro stile di vita. Aveva ragione. Identificato il problema, propose una soluzione: colonizzare altri pianeti.

Fu preso sul serio e la caccia agli esopianeti (pianeti al di fuori del sistema solare) ci ha permesso di trovare molti “posti”, nello spazio, con caratteristiche fisiche e chimiche simili a quelle del nostro pianeta: possibili pianeti B. Trovare la vita su altri pianeti è un altro sogno degli astrofisici, ma non si è ancora avverato. Non bastano condizioni fisiche e chimiche idonee alla vita come la conosciamo (inclusa la nostra), e neppure l’acqua, per rendere abitabile un pianeta.

Ma facciamo un passo indietro. Nel racconto biblico il Creatore si innervosisce non poco per il nostro comportamento dissennato e decide di toglierci di mezzo con un diluvio universale. Poi ci ripensa. Chiama Noè e gli dice di costruire un’arca dove mettere la sua famiglia. Fa venire in mente la navicella spaziale che ci dovrebbe portare sul pianeta “promesso”, vero? Chiunque abbia scritto quel testo, oggi sacro a una parte degli umani, aveva ottime conoscenze di come funziona il mondo e aggiunse altri dettagli della storia. A Noè, infatti, viene detto di mettere una coppia di tutti gli animali sull’arca. Che significa? Semplice: la nostra specie non può vivere da sola, ha bisogno delle altre specie perché da esse dipende.

Oggi sappiamo che non bastano gli animali per permetterci di vivere, ci vogliono come minimo le piante, ma sono necessari anche i funghi e i batteri e altri organismi microscopici che i biologi chiamano protisti. Questa grande varietà dei viventi si chiama biodiversità. Si stima che il pianeta A (la Terra), oggi, sia abitato da otto milioni di specie, ma abbiamo dato il nome a solo due milioni di esse. Avete capito bene: non abbiamo esplorato il pianeta al punto di sapere quali sono le forme di vita che lo abitano.

Le specie interagiscono tra loro e con le caratteristiche fisiche e chimiche dell’ambiente, creando reti di rapporti quasi inestricabili: gli ecosistemi. Le specie sono imparentate tra loro e parlano tutte la stessa lingua molecolare fatta di Dna e Rna. La materia vivente evolve continuamente, e si rinnova: le specie si estinguono e altre nascono. Noi siamo una delle tante espressioni della biodiversità e, in quanto animali, dipendiamo da altre specie in grado di fare quel che noi non possiamo: ridare vita alla materia. Lo sanno fare le piante, alcuni protisti e i batteri, attraverso la fotosintesi e la chemiosintesi. Tornando alla Bibbia, quindi, gli animali non bastano per rifondare sistemi ecologici in grado di sostenerci: la biodiversità e gli ecosistemi sono molto più complessi.

Bene, ora pensate al pianeta che dovremmo colonizzare. Pensate che possa ospitare una biodiversità e una serie di ecosistemi con caratteristiche idonee alla nostra sopravvivenza? La possibilità è talmente remota che non vale neppure la pena di prenderla in considerazione. E ancora: pensate che potremmo prendere un campione significativo della biodiversità e metterlo sull’astronave che ci dovrebbe portare verso il pianeta promesso? Sarebbe ben difficile portare con noi quello che neppure conosciamo. E se per assurdo potessimo, pensate che quella biodiversità sarebbe in grado di riformare gli ecosistemi senza i quali non possiamo vivere?

Non bastano fisica e chimica per capire come sono fatti e come funzionano gli ecosistemi. Non lo abbiamo compreso fino in fondo neppure con la biologia e l’ecologia, perché non dedichiamo molti sforzi a queste imprese scientifiche. Siamo affascinati dallo spazio. Intendiamoci, va benissimo esplorare lo spazio: ogni impresa scientifica merita rispetto e va sostenuta.

La cosa strana è la gerarchia di priorità identificata dagli investimenti e dalla copertura mediatica. Lo spazio la fa da padrone nell’immaginazione collettiva, mentre quasi nessuno sa che non abbiamo risposta alla semplice domanda: quante specie abitano il pianeta? E, a maggior ragione, a nessuno viene il dubbio che non si sappia come funzionano gli ecosistemi e quale sia la loro varietà, e come siano collegati tra loro.

Completiamo il ragionamento: noi dipendiamo dalla biodiversità e dagli ecosistemi, senza i quali la nostra specie avrebbe solo pochi istanti di vita. Che relazioni “vitali” abbiamo con i buchi neri, gli esopianeti o anche solo con Marte? Il nostro impatto distruttivo non li tocca ma sta alterando i sistemi ecologici che ci sostengono e dai quali dipendiamo. Pensare di risolvere il problema andando a creare un altro problema su un altro pianeta non è saggio e non è neppure realistico: non possiamo portare con noi la biodiversità e gli ecosistemi della terra, e solo chi non capisce gran che di biologia ed ecologia può pensare che ne troveremmo altrove, nello spazio, belli pronti per noi.

La comunità scientifica lancia messaggi contraddittori. Una parte propone soluzioni extraterrestri mentre una parte dice che la soluzione non può che essere su questo pianeta. Non basta neppure l’autorità di Papa Francesco, con la sua Laudato Si’, sulla cura della casa comune, a convincerci di dove stiano le priorità. La situazione è paradossale, alcuni scienziati ci propongono soluzioni “nell’alto dei cieli” mentre altri scienziati, e persino le autorità religiose, ci chiedono di prenderci cura del pianeta, esortandoci a restare con i piedi per terra.

La sostenibilità del New Green Deal è la traduzione in fatti della conversione ecologica predicata da Papa Francesco. Non ci sono alternative, non c’è il pianeta B. Ma poi se, per assurdo, ci fosse, credete che ci sarebbe posto per voi o per i vostri figli sulle astronavi della salvezza? Non è che stiamo spendendo soldi pubblici per cercare soluzioni per pochi illusi che si credono eletti?

A volte ho l’impressione che alcune branche della scienza stiano prendendo il posto della religione, proprio quando la religione si converte alla scienza. Ora c’è chi crede agli extraterrestri e al pianeta della salvezza! Che almeno non lo si faccia con i fondi pubblici: se Elon Musk vuole spendere i suoi soldi in queste imprese, che si accomodi.