“Vista la dimensione della catastrofe, causata dal terremoto che a Beirut ha scosso la nostra nazione e ferito i nostri cuori e le nostre menti, e nel rispetto dei martiri e del dolore dei feriti, dei dispersi e degli sfollati in risposta alla volontà pubblica di cambiamento, rassegno le dimissioni dal governo”. Dopo l’esplosione al porto, il primo passo indietro tra le file del governo arriva dalla ministra dell’Informazione libanese, Manal Abdel-Samad, all’indomani del sabato della collera dove migliaia di cittadini sono scesi in piazza per protestare contro la classe politica che ha portato il paese al collasso e la devastazione del 4 agosto, che ha distrutto Beirut e ucciso 158 persone. Subito dopo lascia il ministro dell’ambiente Damianos Kattar. Sono almeno 728 i feriti negli scontri – tra cui 70 agenti – e 20 le persone arrestate, mentre dell’esplosione al porto è rimasto un cratere di 43 metri di profondità. Intanto la conferenza dei donatori concorda su uno stanziamento di 250 milioni di euro il prima possibile e anche sul fatto che gli aiuti devono essere consegnati il prima possibile “direttamente” alla popolazione libanese attraverso l’Onu.

Questo era uno dei nodi alla vigilia della videoconferenza dei 30 leader e rappresentanti di istituzioni internazionali. Con il Libano già preda di una profonda crisi economica e politica, nessun donatore aveva intenzione di firmare un assegno in bianco. Inoltre, è stata ribadita la richiesta di un’inchiesta indipendente sul disastro avvenuto al porto di Beirut. Lo hanno ripetuto Emmanuel Macron e Charles Michel, che nei giorni scorsi ne avevano parlato con le autorità libanesi, e lo ha chiesto anche Donald Trump esortando “il governo a condurre un’indagine completa e trasparente, per la quale gli Stati Uniti sono pronti a portare il loro aiuto”. Un’iniziativa che però per il presidente Michel Aoun è “una perdita di tempo”. Al governo libanese i leader, Macron e Trump in testa, hanno anche rivolto un appello ad ascoltare i bisogni di chi manifesta legittimamente. “Bisogna fare il possibile affinché non prevalgano il caos e la violenza”, ha detto il presidente francese. Nel corso della giornata si sono susseguiti gli annunci sulle donazioni dei singoli Paesi: 63 milioni dalla Commissione europea, 50 milioni dalla Francia, 20 dalla Germania, poco più dalla Gran Bretagna. Un totale di 250 milioni di euro per la ricostruzione di Beirut che, secondo gli economisti, spazzerà via il 25% del Pil. Una cifra più alta rispetto ai 117 milioni di dollari stimati dalle Nazioni Unite per rimettere in sesto subito ospedali, infrastrutture e case distrutte. Il Fondo monetario internazionale, che ha partecipato alla videoconferenza con il direttore Kristalina Georgieva, si è detto disponibile a “raddoppiare gli sforzi” a patto che il Libano si impegni ad attuare quelle riforme che vengono chieste da ben prima l’esplosione.

Il caos politico Abdel-Samad lascia dispiaciuta, ha scritto nella lettera di dimissioni, per non essere stata all’altezza delle aspettative del popolo, che ieri ha tentato di assaltare il Parlamento e in piazza dei Martiri ha allestito dei finti patiboli, appendendo le sagome di alti funzionari. Cinque dei 128 deputati del Parlamento hanno annunciato le proprie dimissioni venerdì, tra cui tre del partito cristiano Kataeb, uno del Partito socialista progressista e un indipendente. Secondo varie fonti, anche il ministro dell’Ambiente sarebbe prossimo a dimettersi. Prima del 4 agosto, aveva lasciato in polemica col premier il ministro degli esteri Nassif Hitti, subito rimpiazzato con un ministro vicino al contestatissimo presidente della Repubblica Michel Aoun. Domattina è prevista una seduta straordinaria del consiglio dei ministri e non è escluso che il premier Diab annunci lui stesso le dimissioni, affermano le fonti citate dai media.

Macron: “Il mondo agisca in fretta” – I fatti avvenuti al porto di Beirut hanno portato alla ribalta internazionale la profonda crisi che il Paese vive da mesi, dove corruzione e classe dirigente sono diventati sinonimi per l’opinione pubblica e l’inflazione è deflagrata. In migliaia sono scesi per le strade infuriati con le istituzioni, e ieri più che mai dopo il disastro del 4 agosto. Il primo leader straniero a raggiungere la capitale devastata è stato il presidente francese Emmanuel Macron che, aprendo la videoconferenza dei donatori per raccogliere fondi in favore del Libano, sostenuta anche dall’Onu, ha rivolto un appello alle autorità a fare in modo che il Paese “non sprofondi” e a “rispondere alle richieste della popolazione che manifesta pacificamente nelle strade di Beirut“. Macron ha invitato tutti a evitare che “la violenza e il caos prevalgano”. “Il mondo deve agire in fretta e con efficacia”, ha detto, aggiungendo che “è arrivato il momento del risveglio e dell’azione”. Beirut è stata anche al centro dell’Angelus di oggi di Papa Francesco, che si è appellato “ai vescovi, ai sacerdoti e ai religiosi del Libano”, chiedendo loro di essere “vicini al popolo e che vivano con una stile di vita improntato alla povertà evangelica senza lusso perché il vostro popolo soffre, e soffre tanto”.

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