C’era “piena coerenza tra la strategia stragista e la strategia politica di chi aveva organizzato le stragi: Cosa nostra, la ‘Ndrangheta ed altre componenti dello stesso sistema”. Una strategia politica che prima punta sull’autonomismo, sulle Leghe meridionali. Poi vira e punta tutto su un partito nuovo: Forza Italia. È in questo modo che procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, ha ricostruito la “strategia politica” delle mafie tra il 1992 e il 1994, durante la sua requisitoria al processo ‘Ndrangheta stragista.

Il processo di Reggio Calabria – Un periodo che è già stato al centro del processo celebrato a Palermo sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra: si è concluso nell’aprile del 2018 con pesanti condanne per boss, ufficiali dei carabinieri ed ex politici come Marcello Dell’Utri, che proprio di Forza Italia fu il fondatore. Adesso a Reggio Calabria, il pm Lombardo sta ricostruendo le responsabilità dei clan di ‘ndrangheta nell’attacco allo Stato a suon di bombe organizzato da Cosa nostra tra il 1992 e il 1994. E infatti imputati davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria ci sono due alti “esponenti” della due mafie: da un lato Giuseppe Graviano, il boss siciliano che custodisce il segreto delle stragi; dall’altra Rocco Santo Filippone, uomo della cosca Piromalli. I due sono accusati dell’omicidio dei due carabinieri, Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, assasinati il 18 gennaio 1994 nei pressi dello svincolo di Scilla. Il processo di Reggio Calabria ha guadagnato notorietà nei mesi scorsi perché è il procedimento in cui l’imputato Graviano ha deciso per la prima volta di aprire bocca per mandare una serie di messaggi trasversali. Durante una serie di udienze il boss di Brancaccio ha sostenuto di essere stato in affari con Silvio Berlusconi, grazie agli investimenti compiuti dal nonno a Milano negli anni ’70. Ha parlato di “imprenditori di Milano” che non volevano fermare le stragi. Ha invitato a indagare sul suo arresto, avvenuto al ristorante Gigi il cacciatore il 27 gennaio del 1994, per scoprire i veri mandanti delle stesse stragi.

“C’era il rischio dei comunisti”- Le dichiarazioni in libertà del boss di Brancaccio, unite alle intercettazioni in carcere del 2016 e 2017, sono state citate più volte dal pm Lombardo nella sua requisitoria. Per la pubblica accusa, infatti, il duplice omicidio dei carabinieri prova come ci fosse una responsabilità della ‘ndrangheta nella strategia stragista del 92/94. Lombardo, nella sua ricostruzione che somma gli atti del processo Trattativa e dell’inchiesta di Roberto Scarpinato sui Sistemi criminali, è tornato indietro nel tempo fino all’autunno del 1993, quando alle amministrative si imposero i candidati sostenuti dal Pds di Achille Occhetto. “C’era il rischio comunista e quando il sistema, di cui ci stiamo occupando in questo processo – ha detto il Pm – l’ha capito, la storia politica si è incrociata con le esigenze dell’alta mafia. Fino ad allora si credeva che i movimenti separatisti potessero avere senso, ma bisognava trovare delle alternative molto più solide e si virò, come ci ha raccontato Giuseppe Graviano non solo nelle intercettazioni ma anche deponendo in questo processo, su Forza Italia e quindi sulla figura di Silvio Berlusconi“.

La mafia autonomista – Il rappresentante della pubblica accusa ha ripercorso le strategie politiche seguite nelle mafie già nei primi anni ’90, quando dalla Sicilia al Centro Italia cominciano a nascere una serie di movimenti separatisti, le cosiddette Leghe meridionali: vengono tutte create su input di esponenti di Cosa nostra, della ‘ndrangheta, della Camorra. Ma anche della massoneria e dell’estremismo nero. “Abbiamo sentito parlare di più di Sicilia Libera che dei movimenti nati nelle altre regioni. La prima componente è Calabria Libera che viene fondata a Reggio Calabria circa un anno prima rispetto a Sicilia Libera”, fa notare il magistrato, che insiste spesso su questo punto. “La ‘ndrangheta e Cosa nostra sono un’unica entità criminale. Noi abbiamo la prova che i rapporti tra la componente siciliana e quella calabrese sono stati rapporti intensi. Un sistema che si autoalimenta e che gestisce capitali di grande rilievo. È noto che il peso economico diventa peso politico”.

Da Gelli a Miglio a B. – Quello del procuratore aggiunto è un racconto che incrocia figure note nei misteri del paese: come il maestro venerabile della P2, Licio Gelli. “Abbiamo la certezza che le componenti mafiose hanno aderito al progetto di Gelli. I reali ispiratori dei movimenti separatisti vanno oltre la figura di Gelli”. E ancora l’ideologo della Lega Nord, Gianfranco Miglio: “Disse di essere per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Ritengo che Miglio non ha utilizzato a caso il riferimento di mafia e ‘ndrangheta“. Insomma, mentre saltano in aria Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, mentre vengono ordinate le stragi di Firenze, Roma e Milano, i clan pensano di staccare il Sud dal resto d’Italia puntando sulle Leghe. Solo che a un certo punto il progetto separatista viene abbandonato e le mafie convogliano il loro supporto su Forza Italia, parallelamente alla strategia di attacco allo Stato: “La strategia stragista – ha detto Lombardo – doveva mettere la vecchia classe politica con le spalle al muro per aprire varchi alla nuova classe politica. Questo ce lo conferma Graviano. Cosa nostra e ‘ndrangheta in quel momento storico, contemporaneamente e all’unisono, non solo abbandonano i vecchi referenti politici ma decidono di dare sostegno a questi nuovi soggetti”. Chi sono questi nuovi soggetti? Forza Italia. “Quella – ha continuato il pm – è la fase in cui bisognava trovare delle alternative molto più solide e si vira, come ci ha raccontato Giuseppe Graviano non solo nelle intercettazioni ma anche deponendo in questo processo, su Forza Italia e quindi sulla figura di Silvio Berlusconi. È questo il momento in cui si vira in quella che sarà Forza Italia. Vi è un imbarazzante, per la storia, coincidenza tra le sedi di Sicilia Libera e le prime sedi di Forza Italia”.

Il boss di ‘ndrangheta: “Voteremo Berlusconi” – Il magistrato, a sostegno dei fatti ripercorsi durante la sua requisitoria, ha citato decine e decine di collaboratori di giustizia. Ma anche tre episodi che niente hanno a che vedere con i pentiti. Il 24 febbraio del 1994 l’Italia è in piena campagna elettorale: la prima Repubblica è crollata sotto i colpi di Tangentopoli e dopo un mese il Paese sarebbe tornato a votare. Al tribunale di Palmi era in corso il processo a Giuseppe Piromalli, capostipite della cosca di Gioia Tauro, padre dell’omonimo boss (soprannominato “Facciazza“) che verrà arrestato anni dopo accusato anche di estorsione ai danni dei gestori dei ripetitori Fininvest. L’anziano padrino decise quel giorno di prendere la parola. E dalla sua cella gridò: “Voteremo Berlusconi, voteremo Berlusconi“. “Non è stata presa una posizione chiara e precisa dicendo che quei voti non li si voleva”, contesterà Achille Occhetto al leader di Forza Italia durante un confronto radiofonico pochi giorni dopo. La replica del futuro premier è surreale: “‘Non credo che nessuno possa sapere con certezza per chi voterà la mafia, non so nemmeno se sia ipotizzabile un voto compatto della mafia. È un fenomeno che confesso di non conoscere in modo approfondito.

L’intercettazioni di Pittelli: “Berlusconi è fottuto” – “Noi abbiamo elementi di valutazione che vanno oltre l’accidentale e che ruota intorno alla chiave di lettura che ci fornisce un parlamentare di Forza Italia”, ha poi commentato il procuratore aggiunto Lombardo. Riportando un secondo elemento di riscontro alla sua ipotesi accusatoria: un’intercettazione dell’avvocato Giancarlo Pittelli, ex parlamentare calabrese di Forza Italia, considerato il trait d’union tra massoneria e clan. È il 20 luglio 2018 e Pittelli dice: “La prima persona che dell’Utri contattò per la formazione di Forza Italia fu Piromalli di Gioia Tauro”. “Per fortuna – ha commentato il pm – Pittelli non è un passante, ma è stato per 13 anni parlamentare di Forza Italia. Questa è la fonte qualificata che ci insegnavano come va valutato il peso probatorio di un elemento”. E se non bastasse Lombardo ha ricordato anche l’inizio di quella conversazione di Pittelli, che al telefono dice a un suo interlocutore: “Senti, sto leggendo questa storia che hanno riportato sul Fatto Quotidiano della trattativa stato Mafia”, dice l’ex parlamentare il 20 luglio del 2018. Il riferimento a un articolo che riportava le motivazioni del processo sul Patto tra pezzi delle Istituzioni e Cosa nostra. Quel procedimento individua il primo governo Berlusconi come parte lesa del ricatto allo Stato. Il commento di Pittelli, però, è di tenore diverso: “Berlusconi è fottuto…Berlusconi è fottuto”.

Dalla Calabria allo stadio Olimpico: carabinieri nel mirino – Insomma, secondo il pm Lombardo, in pratica, l’omicidio dei due militari Fava e Garofalo è la prova che la ‘ndrangheta condivise in pieno la strategia di attacco allo Stato varata da Cosa nostra e dai Graviano. D’altra parte sono proprio i carabinieri l’obiettivo dichiarato da Graviano. Il 23 gennaio del 1994 – cinque giorni dopo il duplice omicidio calabrese – Gaspare Spatuzza avrebbe dovuto fare esplodere una Lancia Thema imbottita di tritolo e tondini di ferro nei pressi di un autobus che trasportava decine di carabinieri del servizio d’ordine dello stadio Olimpico durante Roma-Udinese. Quell’attentato, però, fallì per un difetto al telecomando. “Se, invece, fosse riuscito ed avesse, quindi, determinato la morte di un così rilevante numero di carabinieri, avrebbe con ogni probabilità veramente messo in ginocchio lo Stato pressoché definitivamente dopo la sequenza delle gravissime stragi che si erano già susseguite dal 1992, ciò tanto più che l’ulteriore strage (la più grave per numero di vittime) sarebbe intervenuta in un momento di estrema debolezza delle Istituzioni”, hanno scritto i giudici della corte d’Assise di Palermo che hanno celebrato il processo sulla Trattativa.

Un gennaio frenetico – Due giorni dopo il fallito attentato all’Olimpico, Berlusconi ufficializza la sua discesa in campo, il 27 gennaio – 24 ore dopo il famoso discorso sull’Italia “è il Paese che amo” – Graviano viene arrestato. “Non è che la fretta di Graviano per portare a termine il fallito attentato all’Olimpico era legata al fatto che la settimana dopo sarebbe stata annunciata la discesa in campo di Berlusconi?“, si è chiesto il pm Lombardo durante l’ultima udienza. È un fatto che il bar Doney di Roma, il posto dove il 21 gennaio Graviano incontra Spatuzza per dargli l’ordine di dare un altro “colpetto“, dista solo poche centinaia di metri dall’hotel Majestic dove in quei giorni Dell’Utri era impegnato in una serie d’incontri preparatori alla discesa in campo. Uno dei dipendenti dell’albergo, interrogato dalla Dia di Reggio Calabria, oggi ricorda che Dell’Utri incontrava alcuni soggetti di “chiara provenienza calabrese e siciliana, dal momento che parlavano con marcato accento dialettale da me conosciuto per le mie origini calabresi”. Chi erano quei siciliani e quei calabresi incontrati da Dell’Utri proprio nei giorni in cui veniva lanciato il partito azienda di Berlusconi? Hanno niente a che vedere con gli incontri del siciliano Graviano nel vicinissimo bar di via Veneto?

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