“Ai miei fratelli, alle mie sorelle e agli amici. Ce l’ho messa tutta per sopravvivere, ma non ce la faccio più ad andare avanti, il dolore è troppo pesante. A te mondo, sei stato molto ingiusto con me, ma perdono te e tutti”. Il foglio di un blocco, sopra poche righe e la sua firma. Così Sarah Hegazy, egiziana di 28 anni, ha annunciato la sua decisione di farla finita. La parola conclusiva sugli ultimi, difficili due anni e mezzo della sua vita: dalla detenzione, fino a sabato scorso, quando ha spento la luce nella sua casa di Toronto, in Canada, dove era stata costretta a emigrare. Sarah Hegazy, lesbica dichiarata, aveva pagato col carcere una colpa assurda, ossia aver mostrato una bandiera arcobaleno per i diritti delle comunità Lgbt durante un concerto a Il Cairo. Ciò accadeva alla fine di settembre del 2017, poi ad inizio ottobre l’arresto e la detenzione di pochi mesi, meno di quattro, sufficiente però a traumatizzarla: “Non si è più ripresa da quell’episodio – dice Amr Mohamed, il suo avvocato ai tempi della causa – . Non immaginavo di non rivederla più quando quella sera di inizio 2018 l’ho accompagnata all’aeroporto del Cairo. Le cause della sua morte sono lo Stato, la comunità e i media egiziani secondo cui non c’è spazio per chi difende la libertà e gli orientamenti sessuali”.

Amr Mohamed è anche l’avvocato di Malak el-Kashif, la giovanissima transgender egiziana, anch’essa chiusa in carcere e vittima di violenze, di cui il Fattoquotidiano.it ha scritto pochi giorni fa: “Nel suo messaggio Sarah ha chiesto scusa alla famiglia, agli amici e perdonato tutti, compreso chi l’ha voluta in tutti modi discriminare – dice Malak – Lei perdona, io no. Lei era una grande combattente, tra le poche a darmi il suo aiuto quando ne avevo bisogno a causa del mio essere ‘diversa’ dagli schemi sociali del Paese. La sua carcerazione è stata decisiva, quando è uscita non era più la stessa. In cella è stata vittima di soprusi e i media l’hanno fatta a pezzi per il suo essere apertamente lesbica. La situazione per i membri della comunità Lgbt in Egitto è spaventosa, tra violenze verbali e fisiche. Ecco cosa producono le campagne d’odio contro di noi. È un giorno difficile per me, lei resterà sempre nel mio cuore, non la dimenticherò mai”.

Tutto per una bandiera sventolata durante un concerto. La sera del 23 settembre 2017, Sarah Hegazy si trovava al concerto dei Mashrou’ Leila, un popolarissimo gruppo libanese il cui cantante è anch’egli dichiaratamente gay. La Hegazy era in compagnia di un gruppo di amici, tra cui Ahmed Alaa, e altri membri della comunità Lgbt egiziana. Sventolare e mostrare quella bandiera arcobaleno è stato un gesto raro e grave per l’Egitto, ma se non fosse stato per una tv locale che su quell’episodio ci ha costruito un caso, nessuno forse se ne sarebbe accorto. Mostrare un orientamento sessuale diverso è una colpa che può costare caro nel Paese guidato dal presidente Abdel Fattah al-Sisi. Il 6 ottobre è scattata la retata, decine di persone arrestate, tra cui Sarah Hegazy e Alaa Ahmed, finiti in carcere e poi entrambi scappati dal Paese nordafricano. Tra gli addebiti nei suoi confronti anche quello di ‘promozione della devianza e della dissolutezza sessuale’ oltre ad essere ‘parte di un gruppo volto a danneggiare la pace sociale’. Termini arcaici che rimandano ad oscuri periodi storici, a pratiche medievali che apparivano dimenticate nel tempo e invece così tristemente attuali.

Nel gennaio del 2018 la scarcerazione: “È stato il periodo più brutto della mia vita, la prigione mi ha distrutto, mi ha ucciso” raccontava all’epoca, già segnata nello spirito. Eppure il peggio doveva ancora arrivare. A differenza della prigione, Sarah è stata sottoposta a doppia discriminazione sulla base delle sue opinioni politiche progressiste e di sinistra e sulla base della sua identità di genere. Il caso non era chiuso, il rischio di tornare in carcere molto concreto, senza contare le continue minacce ricevute a causa dei suoi gusti sessuali, considerati osceni. Da qui la scelta, pochi mesi dopo, di lasciare il Paese: “Non è più tornata in Egitto, lo avrebbe fatto solo quando sarebbe cambiato tutto – aggiunge Karim Abdelrady, avvocato egiziano, attivista ed amico della Hegazy -. Le cose per lei sono peggiorate quando, l’anno scorso, è venuta a mancare sua madre e lei non era qui al Cairo per starle vicino”. La 28enne era anche una militante politica ed era tra le fondatrici del Partito della Libertà, un movimento legato all’attivismo per la salvaguardia dei diritti umani in Egitto: “Sarah ha partecipato a diverse campagne In solidarietà con i prigionieri di coscienza, in particolare scrittori e artisti che sono stati oppressi a causa delle loro opinioni – affermano alcuni colleghi di partito -. Credeva nel diritto di tutti di vivere in dignità e libertà senza sfruttamento di classe o discriminazione basata sul genere o sull’identità sessuale. Lei stava esprimendo le sue opinioni con raro coraggio, sottoposta a doppia discriminazione sulla base delle sue idee politiche e sulla base di Identità di genere per tutto il periodo delle indagini e della detenzione”. Cordoglio è stato espresso dalla comunità internazionale Lgbt: “È una giornata triste per tutti noi, nel mondo”.

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