Che forma ha la “bellezza” Presidente Conte?

Forse oggi, dopo la tragica esperienza della pandemia, Massimo D’Azeglio cambierebbe quella sua famosa frase risorgimentale. Perché gli italiani, bene o male, li abbiamo fatti, è l’Italia che bisogna fare. Anzi, rifare!

Da oggi siamo chiamati tutti, governo in testa, a rimboccarci le maniche e a indicare una strada perché niente magari sia più come prima. Come fece nel 1861 la classe dirigente che ci aveva portato all’unità e come fecero poi nel 1945 i nostri padri costituenti. Giacché oggi, come allora, c’è in gioco il nostro futuro. E il Paese, soprattutto i giovani di questo paese, hanno bisogno di vedere in quel futuro una prospettiva.

Purtroppo, la fotografia che anche in queste ore vediamo è ancora in bianco e nero, sgranata, ha profili e lineamenti fuori registro. Va scelta una strada. E non basta che si dica che bisogna ripartire dalla “bellezza” dell’Italia. È vero, la bellezza potrebbe salvare il mondo, come diceva quel principe uscito dalla penna di Dostoevskij. E magari salverà anche il nostro paese. Ma questa bellezza, Presidente Conte, va ancora scandagliata, bisogna darle una forma. E poi la bellezza di cui abbiamo bisogno non è solo estetica, ha una dimensione anche etica, direi valoriale, se non vogliamo lasciarci tentare dalla pura vanità.

Dunque, come sarà la “bellezza” dell’Italia di domani, del futuro che immaginiamo per noi e per i nostri figli e nipoti? Lo chiedo sottovoce perché è giunto il tempo di mettere da parte slogan ad effetto e buoni propositi che, alla fine, tali si rischia che restino. Negli anni passati tutti i Governi, e soprattutto quei governi sfilati anch’essi nella “location” di Villa Pamphili indistintamente, ci hanno abituato, nelle espressioni delle loro riforme, a formule altisonanti che poi servivano solo a non cambiare nulla, o poco di nulla. Modernizzazione, inclusione, transizione… per poi ritrovarsi sempre al punto di partenza, come in un eterno gioco dell’oca.

E allora, da dove iniziare?

Intanto dall’abbandonare appunto gli slogan e magari ascoltando quello che hanno da dire non solo i manager e gli archistar, ma soprattutto le voci “di fuori”, di quegli uomini e quelle donne che nei prossimi giorni non varcheranno la soglia del Casino del Bel Respiro. Magari a cominciare proprio da quei genitori che piangono la pena nel vedere i propri figli emigrare per costruirsi un futuro di lavoro. O incrociando lo sguardo dei vecchi che non si rassegnano, pur nella loro solitudine, all’idea che qualcuno possa dirgli “vabbè, ma era vecchio, riposi in pace…”. O ascoltando l’urlo di disperazione di migliaia di disoccupati o inoccupati o cassaintegrati che non vedono alcuna “bellezza” di fronte ai loro occhi, ma solo un futuro nero e gravido di preoccupazioni.

E poi c’è quel “ceto medio”, oramai al limite, raccontato ogni giorno dalle mense della Caritas…

Sono un parlamentare da poco ma un giornalista da tanto, abituato a pesare le parole, ed è questo il suggerimento che do ai miei amici del Governo e al Premier per i prossimi impegnativi giorni in cui si svolgeranno questi Stati Generali. Il rischio è che la nuova crisi, seppur figlia della pandemia, si traduca in una reale disperazione di massa. E alla povertà di massa o si risponde con la giustizia sociale o siamo destinati a soccombere tutti. Bisogna marcare una differenza, Presidente Conte. La differenza tra chi si ferma al gioco dell’oca e chi guarda al futuro scegliendo, con coraggio, una strada da seguire non solo per rilanciare l’economia dell’Italia, ma anche per restituirle un’anima. E la storia ci ha insegnato che questo può essere fatto solo in un modo: non contemplandola quella bellezza, ma in essa mettendo le mani discernendo e guardando a chi ha meno, agli ultimi, per garantire loro, e a tutti, un futuro di speranza. Con un occhio attento ad un diverso modo di produrre ed investire, reperire e ridistribuire ricchezza, tutelare l’ambiente e valorizzare il lavoro.

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