La governance, i diritti tv del calcio, i contratti dei lavoratori, la legge sugli stadi. Riformare l’intero sistema sportivo italiano con la bacchetta magica, un semplice testo da scrivere e portare in Consiglio dei ministri, senza passare nemmeno dal voto parlamentare. È il sogno di ogni ministro, Vincenzo Spadafora può farlo: ha ricevuto in eredità dall’ex sottosegretario Giancarlo Giorgetti la legge delega approvata lo scorso agosto che annovera praticamente tutto lo scibile sportivo, fissando però solo principi generici. Adesso bisogna scriverne i decreti attuativi: fare davvero la riforma. Tutto il mondo dello sport, dal Coni di Giovanni Malagò ai presidenti del pallone, passando per i dirigenti delle Federazioni, aspetta le mosse del ministro, lo tira per la giacchetta, prova a influenzarlo, convincerlo. E le alleanze politiche si capovolgono: oggi il Movimento 5 stelle è al governo col Pd, ma almeno sullo sport l’asse resta quello gialloverde con la Lega, mentre democratici e renziani si schierano a difesa di Malagò.

A tenere banco è soprattutto la divisione delle competenze fra Coni e Sport e Salute, la società governativa a cui sono stati affidati vari compiti per rompere l’egemonia di Malagò. Del resto, è stata questa sempre la pietra dello scandalo, per cui il Cio è arrivato addirittura a minacciare la sospensione dell’Italia per ingerenze politiche. Adesso, con i decreti il governo si è impegnato restituire al Coni la sua preziosa autonomia.

Sul tavolo ci sono due ipotesi. La prima è creare un’altra società, una specie di nuova Coni servizi ma più piccola, alle dipendenze del Comitato olimpico, in cui transiterebbero i suoi dipendenti: questa la soluzione più gradita al Foro Italico, che così tornerebbe del tutto autonomo, ma sconfesserebbe di fatto la riforma (non a caso, era stata una delle prime controproposte che Malagò aveva fatto a Giorgetti). Infatti, rispetto a qualche mese fa (se n’era discusso prima dell’emergenza Covid) la soluzione pare già un po’ tramontata. Il Ministero ragiona su un altro schema: dotare semplicemente il Coni di una sua pianta organica, circa un centinaio di dipendenti, così da restituirgli l’autonomia perduta sul piano del personale, ma nessuna nuova società di servizi, inutile duplicazione di Sport e Salute. Certo, così il Coni non sarebbe libero come un tempo di stipulare contratti e fare gare (o meglio, lo sarebbe, ma da ente pubblico è più complicato).

Negli ultimi giorni Spadafora ha incontrato le parti in causa. E qui la sorpresa: è stata più agitata la riunione con la maggioranza che con l’opposizione. Se la Lega (Giorgetti quella legge l’ha scritta) e Forza Italia non sollevano grandi obiezioni, proprio dal fuoco amico deve guardarsi il ministro: in soccorso di Malagò si ergono il Pd e soprattutto i renziani di Italia Viva, più filo Coni del Coni stesso. Reclamano mani libere per il Comitato olimpico, e la loro opinione può pesare in Consiglio dei ministri, dove dovrà essere approvato il testo.

Rischia di diventare una questione politica. Eppure nella delega ci sarebbe anche molto altro, articoli che potrebbero cambiare radicalmente il volto all’intero settore. Ad esempio, la parte sulla contrattualistica dei lavoratori dello sport, che per la prima volta durante l’emergenza Covid hanno avuto un riconoscimento come categoria (il bonus da 600 euro) e adesso attendono un inquadramento organico, tema caro al M5s e al suo deputato Valente. Oppure la nuova legge sugli stadi, il limite dei mandati per le cariche sportive, persino la “mutualità” delle risorse derivanti dai diritti tv, appiglio per modificare la Legge Melandri (ma non è detto si possa fare). Il piatto è ricco. Bozze per ora non ce ne sono, almeno il ministro non ne ha mostrate. E al Coni che reclamava dettagli ha ricordato: “Questo non è un tavolo di concertazione”. I decreti, infatti, dovranno essere solo approvati dal Consiglio dei ministri entro agosto e passare dalle commissioni parlamentari per un parere non vincolante. La riforma la scriverà Spadafora.

Twitter: @lVendemiale

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