In Piemonte c’è una leggera flessione dei contagi e dei morti, ma i numeri restano ancora alti: Torino ha superato Bergamo e Brescia e si è messa all’inseguimento di Milano per numero di persone infettate, mentre il Piemonte segue la Lombardia. I dieci giorni di vantaggio rispetto ai primi focolai del Nord Italia non hanno permesso alla Regione guidata da Alberto Cirio di attrezzarsi e mettere in sicurezza i suoi abitanti, anzi. Adesso il passaggio alla Fase 2 e le riaperture spaventano il governatore e il suo assessore alla Sanità, Luigi Ivaldi. “Il rischio che si possa tornare a un innalzamento dei contagi c’è”, ha spiegato ieri sera su Facebook il presidente che frena sulle riaperture. Ieri l’Unità di crisi ha registrato 458 contagi in più rispetto a mercoledì (ne erano stati censiti 457), portando a quota 26.453 il numero di cittadino a cui è stato diagnosticato il Covid-19. Sono stati registrati anche i decessi di 54 persone positive, di cui 15 morte ieri e le altre nei giorni precedenti, per un totale di 3.086 vittime.

C’è stato un grave errore nella gestione delle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) dove sono avvenuti molti contagi e dove diverse centinaia di anziani sono morti. In Piemonte i posti letto negli ospedali sono diminuiti, alcune strutture di prossimità erano state chiuse e all’inizio dell’emergenza, come avvenuto in Lombardia, la Regione aveva chiesto alle case per anziani di ospitare i malati Covid, portando il virus tra persone già deboli e malate.

A lungo la delibera è stata nascosta e il problema negato dall’assessore Ivaldi. Nonostante ciò, denunciava lunedì l’Associazione nazionale strutture Terza età (Anaste) Piemonte, lo scorso 24 aprile la Regione ha chiesto alle strutture, tramite le Asl, di ospitare i malati di Covid-19. L’amministrazione si è affrettata a precisare: “La richiesta di ricognizione promossa dalla stessa Unità di crisi sul territorio regionale riguarda esclusivamente strutture vuote, dove i pazienti Covid, dimessi dagli ospedali, dovranno essere gli unici ospiti dell’intero edificio”.

A proposito di Rsa, ieri l’Unità di Crisi ha reso noti i dati sui tamponi eseguiti al personale e agli ospiti: dei quasi 141mila tamponi eseguiti sulla popolazione fino al 27 aprile (su un totale di 4,356 milioni di abitanti), 34.180 sono stati fatti nelle Rsa (che hanno poco meno di 40mila ospiti e 15mila dipendenti) e di questi 7.983 persone sono risultate positive, 19.573 negative e 6.624 in attesa dell’esito. Ventimila non sono state esaminate. Di quelle sottoposte a tampone, quasi un quarto degli ospiti e un quinto del personale sono risultati positivi. Nel complesso, nelle Rsa si trova quasi un quarto dei contagiati di tutta la regione.

Poi ci sono i medici, gli infermieri e tutto il personale a cui sono mancate e mancano molte protezioni e test sierologici. Una situazione talmente rischiosa che giovedì, nel corso dei flash mob organizzati da Uil e Cgil, hanno protestato dicendo: “Forse non va tutto bene”. Che non vada tutto a dovere lo dimostrano anche i rimaneggiamenti nell’Unità di crisi. All’inizio per coordinare le emergenze era stato chiamato Mario Raviolo, direttore del dipartimento “Maxiemergenza-118”, a cui poco dopo era stata affiancata l’Unità di crisi guidata da Vincenzo Coccolo (un geologo che ha diretto l’Arpa Piemonte), affiancato dal direttore dell’Asl Torino 3 Flavio Boraso (per l’area sanitaria, indagato per reati contro la pubblica amministrazione), dal medico legale Roberto Testi (per l’area tecnico-scientifica) e dall’ex sostituto procuratore Antonio Rinaudo (per l’area giuridica). Di fronte alle enormi difficoltà, il 19 aprile scorso è arrivata poi la nomina dell’ex ministro della Salute di uno dei governi Berlusconi, Ferruccio Fazio (professore di medicina nucleare al San Raffaele e sindaco di Garessio, in provincia di Cuneo) e di molti altri nuovi consulenti. Infine ieri è stata creata una nuova commissione che valuterà la riorganizzazione della rete ospedaliera per l’emergenza.

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