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di Antonio Deiara

Le mascherine di protezione venivano ancora indossate dai tredici alunni della quarta “M”, in quel caldo ottobre nell’Anno Tre Post Covid-19. Faceva impressione vedere altri tredici banchi vuoti, quasi irreali nello spazio non più conteso di fronte alla cattedra. Le lezioni, rigorosamente “in presenza”, si susseguivano ordinatamente nel silenzio e nella massima attenzione.

Anche l’Aula musica si presentava ricca di spazio, con la batteria collocata nel rispetto del distanziamento socio-strumentale, leggii e microfoni, chitarre e amplificatori, tastiere elettroniche e bassi elettrici collocati oltre il metro per ciascuna postazione. In Palestra cerchi confinanti, di diametro superiore a due metri, delimitavano lo spazio ginnico-sportivo, mentre strani contenitori di matite, pennarelli e tempere campeggiavano sui moderni banchi a losanga con le ruote, ben distribuiti nell’Aula di Arte.

Le cuffie con microfono spuntavano dagli zaini dei singoli alunni, affiancate ai “Quaderni e album del giorno” e al Kindle-Scuola pesante appena qualche etto, che celava al proprio interno tutti i libri di testo in formato digitale. L’Aula di Lingue ricordava le postazioni delle centraliniste di una vecchia trasmissione televisiva, Portobello: tra una postazione e l’altra un alto “scudo” di plastica trasparente proteggeva i singoli alunni e i docenti.

Le lezioni si frequentavano la mattina, con ore da cinquanta minuti che imprimevano ritmo all’apprendimento; di pomeriggio si curavano lo studio e le “AE (Attività Elettive)”, Sport, Musica, Arte, Teatro, Giornalismo, etc. Non si sprecava neppure un minuto: chi osava disturbare la lezione veniva immediatamente allontanato dalla Scuola e affidato nuovamente ai genitori. Questi ultimi dovevano pagare una multa per “Culpa in educando”, che raddoppiava progressivamente, a partire da 100 euro, con la seguente motivazione: “Allontanamento didattico temporaneo per interruzione di pubblico servizio”.

Erano sparite le bocciature: lo studente che non raggiungeva un livello di preparazione almeno sufficiente, era obbligato a frequentare “Corsi di pronto soccorso didattico” pagati dalla famiglia d’origine; il costo di un “CPSD” ammontava a 1.000 euro per materia.
I nuovi docenti, dopo aver superato un concorso, venivano preparati attraverso la frequenza post-laurea di un “CDT (Corso di Didattica con Tirocinio)” di durata annuale, nel quale insegnavano maestre e maestri, professoresse e professori “anziani”, tutte e tutti di chiara fama (con 30 anni di servizio e pubblicazioni a carattere didattico), suddivisi per ordine di Scuola.

Il precariato ormai non esisteva più: la programmazione dei “CDT” risultava raccordata con il “Piano pluriennale dei pensionamenti (PPP)”. Gli insegnanti di Sostegno si specializzavano col “TFAS (Tirocinio Formativo Attivo per il Sostegno)” annuale post-concorso, in numero pari alle cattedre. I Presidi c’erano ancora e dirigevano un “SP (Staff di Presidenza)”, formato da insegnanti in semi-esonero o in esonero totale, che si occupava di diversi aspetti della vita scolastica di ciascun istituto. La storica “Bidella Candida” dello Zecchino d’Oro si era trasformata in “CEVIP (Collaboratrice educativa per la vigilanza e la pulizia)”, mentre la Segreteria aveva assunto l’aspetto di Cape Canaveral: super-computer e zero carta.

Il ministro della Pubblica Istruzione appariva raggiante, nella Conferenza Stampa del 12 ottobre: “Ringrazio la Scuola Pubblica della Repubblica Italiana per l’eccellente lavoro svolto in questo avvio dell’Anno Terzo Post Covid-19. Abbiamo realizzato un possente investimento nell’Istruzione, pari a quello riservato alla Sanità Pubblica. Il futuro del nostro Paese poggia su solide basi: le potenzialità, lo studio e l’entusiasmo delle nostre studentesse e dei nostri studenti!”.

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