Destinare le risorse recuperabili con il taglio dei Sussidi ambientalmente dannosi (Sad) interamente al ‘lavoro verde’, alla transizione energetica e al rafforzamento strutturale della sanità, messa a dura prova dal Covid-19. E questo a partire dal prossimo Documento di Economia e Finanza. Perché le risorse pubbliche vengano messe a disposizione di chi cura e non di chi inquina. È la richiesta oggetto di una petizione lanciata sulla piattaforma change.org dal Coordinamento nazionale No Triv e diretta al presidente del consiglio Giuseppe Conte. Un appello che, contestualmente, il movimento lancia anche attraverso un documento firmato insieme a una trentina di altre associazioni, tra cui il Forum Italiano dei Movimento per l’Acqua e i No Tav e nel quale si sottolinea la necessità di destinare risorse importanti alla sanità pubblica e, in particolare, ai presìdi salvavita, come le unità di terapia intensiva e rianimazione degli ospedali italiani. Anche perché, dopo il Coronavirus, nulla sarà più come è stato finora. “Il primo appuntamento utile – spiega a ilfattoquotidiano.it Enrico Gagliano, cofondatore dei No Triv – è l’approvazione del nuovo Collegato ambientale, la cui pubblicazione viene data per imminente. Il Ministro dell’Ambiente ha già dichiarato che si sta lavorando per convertire i Sad (i Sussidi ambientalmente dannosi) in Saf (Sussidi ambientalmente favorevoli)”.

IL SISTEMA SANITARIO AL COLLASSO – L’emergenza Coronavirus, infatti, sta facendo emergere in tutto il mondo quali siano le priorità e, in Italia, sta mettendo a dura prova il Sistema sanitario nazionale, provocando migliaia di vittime. Il Covid19 “ci ha fatto ricordare gli ospedali e i reparti chiusi per mancanza di fondi” scrive il Coordinamento No Triv, sottolineando la corsa all’allestimento di nuove terapie intensive, chiuse negli ultimi anni proprio a causa dei tagli. Secondo il 4° Rapporto Gimbe, dal 2009 al 2018, sono stati sottratti 37 miliardi di euro dal 2009 al 2018. “Se il numero di ventilatori polmonari disponibili è insufficiente anche in situazioni normali – si legge – lo dobbiamo ai governi ed ai presidenti di Regione che hanno sposato e imposto tagli indiscriminati e lineari alla sanità pubblica”. E stando ai dati del Ministero della Salute nel 2017 i ventilatori polmonari (Vpo) presenti nelle strutture di ricovero pubbliche erano 16.511, e quelli nelle case di cura private accreditate 1.783, per un totale di 18.294 Vpo ed una media nazionale di 1 Vpo ogni 3.306 residenti. “Non sorprende trovare la Lombardia, culla della privatizzazione del Servizio Sanitario – è spiegato nel documento – tra le Regioni con un numero di residenti per singolo ventilatore polmonare superiore alla media nazionale”. Siamo a 3557 e, come immaginabile andava anche peggio in Regioni come Campania (4367), Puglia (4072), Molise (4365), Calabria (5259) e Sardegna (4010).

I SUSSIDI DANNOSI – Intanto, proprio in Lombardia, a Brugherio, Settala, Ripalta Cremasca, Sergnano, Bordolano, Cornegliano Laudense “prosegue l’attività di stoccaggio del metano anche dopo la rinuncia, nel 2016, di Arpa Lombardia al monitoraggio sismico che le era stato affidato nel 2010”. Quasi 20 miliardi di euro vanno ogni anno, sotto forma di sgravi ed agevolazioni, ai sussidi ambientalmente dannosi, di cui 16,8 miliardi vanno ai combustibili fossili: petrolio, gas, carbone, “mentre negli ospedali mancano respiratori e posti letti in terapia intensiva”.

IL PREZZO DEI COMBUSTIBILI FOSSILI – E ancora, negli stessi anni in cui si tagliavano i fondi alla sanità, “le attività fossili – si spiega nel testo della petizione – mietevano morti e malattie nei siti di Falconara, Brindisi, Taranto, Gela, Milazzo, Priolo, Porto Torres e Viggiano, in Basilicata” dove si estrae l’80% degli idrocarburi su scala nazionale nella seconda piattaforma on shore più grande d’Europa. In quegli stessi anni “a Viggiano e Grumento Nova – raccontano gli ambientalisti – le attività petrolifere causavano un aumento dell’11% del tasso di mortalità tra uomini e donne (in tutto 632 morti) ed un incremento del 14% delle malattie del sistema circolatorio rispetto al resto della Basilicata”.

Il coordinamento No Triv ricorda un recente studio condotto della Società italiana di medicina ambientale (Sima) in collaborazione con le Università di Bari e di Bologna, secondo cui l’inquinamento sarebbe concausa del contagio di Covid-19 perché le polveri sottili trasportano il virus e ne favoriscono la diffusione. Ipotesi che spiegherebbe il dilagare dei contagi nella Pianura Padana, l’area più inquinata d’Europa. Non è un caso se, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Italia detiene il macabro primato di 81mila decessi prematuri, dovuti ogni anno alle conseguenze dell’inquinamento atmosferico provocato da auto, industrie e riscaldamento. Il fattore inquinamento, da solo, determina sul piano economico perdite pari al 5,6% del Pil. Nel recente rapporto ‘Aria tossica: il costo dei combustibili fossili’, redatto da Greenpeace Southeast Asia e CREA (Centre for Research on Energy and Clean Air) si stima che l’inquinamento atmosferico legato ai combustibili fossili abbia un costo per il Pianeta di 4,5 milioni di morti premature ogni anno e 2.900 miliardi di dollari, equivalenti al 3,3 per cento del Pil mondiale, ovvero 8 miliardi di dollari al giorno.

IL RUOLO DELLE BANCHE MONDIALI – A investire nei combustibili fossili sono anche le grandi banche. Lo dimostra il nuovo rapporto Banking on Climate Change 2020, secondo cui 35 tra le più grandi banche mondiali hanno investito 2,7 mila miliardi di dollari in settori come petrolio, gas e carbone dal 2015 in poi, ossia dopo l’Accordo di Parigi. D’altronde, se dopo quell’intesa gli investimenti fossili sono generalmente diminuiti, nel corso del 2019 sono aumentati di circa il 40%. A investire di più sono, ancora una volta, le grandi banche statunitensi: JPMorgan Chase, Wells Fargo, Citi e Bank of America.

COSA FARE – È certo un fatto: niente potrà essere più come prima. Nel mondo, come in Italia. Nel passaggio dalla prima bozza al testo definitivo del ‘Decreto Clima’ pubblicato in Gazzetta Ufficiale, dei tagli ai Sussidi ambientalmente dannosi è rimasto ben poco, eppure parliamo di 19,8 miliardi di euro, di cui 16,8 per i soli combustibili fossili. “È necessario operare una radicale revisione della prima bozza del ‘Decreto Clima’ datata settembre 2019 – spiega a ilfattoquotidiano.it Enrico Gagliano, cofondatore dei No Triv – che, anche quella insufficiente, prevedeva la progressiva riduzione di tutti i sussidi ambientalmente dannosi almeno del 10% annuo a partire dal 2020, sino al loro progressivo annullamento entro il 2040. Ne gioverebbe anche il lavoro”. Secondo stime elaborate nello studio ‘Rilanciare l’economia e l’occupazione in Italia’, a cura della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, infatti, una spesa per investimenti nel periodo 2020-2025 quantificabile in circa 190 miliardi di euro (con costi di esercizio e manutenzione pari a 34,7 miliardi), attiverebbe la produzione per un valore superiore a 682 miliardi e un concomitante valore aggiunto pari a 242 miliardi di euro. “Ora, però – concludono le associazioni – non sono più ammessi tentennamenti o ripensamenti: occorre decidere ed agire con senso di responsabilità e determinazione”.

Articolo Precedente

Massa Carrara, il crollo del ponte ci ricorda che la priorità non sono le grandi opere

next