Il primo passo falso, ormai un mese fa, fu l’ordinanza che costringeva i non residenti a lasciare la Provincia mentre il governo chiedeva di evitare gli spostamenti. Poi la vicenda degli ‘scaldacollo‘, fatti produrre dal cugino dell’assessore alla Sanità. E quella della distribuzione delle mascherine alle aziende, facendo pagare il costo di trasporto alle associazioni di categoria. Infine, i dubbi sull’idoneità delle mascherine comprate in Cina e destinate al personale sanitario negli ospedali. La gestione dell’emergenza coronavirus da parte della Provincia di Bolzano, governata da Südtiroler Volkspartei e Lega, finisce sotto accusa. Fratelli d’Italia, Freiheitlichen e Movimento 5 stelle hanno già presentato varie interrogazioni per chiedere chiarimenti. “Ogni volta che la Svp ha voluto distinguersi e rivendicare la propria Autonomia anche nella gestione della crisi, ha compiuto delle inesattezze“, commenta a ilfattoquotidiano.it il consigliere provinciale M5s Diego Nicolini. “C’è poca trasparenza – aggiunge – e per questo la popolazione ha perso fiducia ed è preoccupata“.

A metà marzo la Provincia di Bolzano aveva annunciato in pompa magna, con in testa il governatore Arno Kompatscher e l’assessore provinciale alla Sanità Thomas Widmann, l’arrivo di più di un milione di mascherine e altro materiale sanitario dalla Cina, grazie all’intermediazione del gruppo Oberalp di Bolzano, il cui amministratore delegato è Christoph Engl, una vecchia conoscenza dell’amministrazione Svp, già direttore dell’Unione Albergatori e di Alto Adige Marketing. L’operazione veniva considerata un simbolo dell’Alto Adige efficiente che grazie all’aiuto dell’amica Austria – che si è occupato del trasporto del materiale – riusciva ad arrangiarsi indipendentemente da Roma.

A rovinare i piani sono arrivate però le rivelazioni della testata online Salto.bz, che ha pubblicato i risultati dei test condotti da due centri specializzati di Austria e Germania su circa mezzo milione di mascherine dirette in Alto Adige. Questi dispositivi infatti avevano la certificazione americana ‘KN95’, quella che per l’Oms corrisponde agli standard Ffp2 e Ffp3, ma non la certificazione europea. Secondo i risultati dei test, stando a quanto riporta Salto.bz, le mascherine hanno mostrato dei difetti di fabbricazione. L’Azienda sanitaria locale, questa l’accusa del sito locale, avrebbe saputo ma taciuto.

Il direttore generale Florian Zerzer smentisce: “I certificati dei dispositivi di protezione sono stati tra l’altro controllati presso la Clinica Universitaria di Innsbruck (Prof. Christian Wiedermann) e la loro validità è stata confermata. Lo standard dei dispositivi di protezione individuale corrisponde effettivamente ai prodotti forniti”, si legge in una nota diffusa dall’Asl. Resta però il fatto che si è deciso di non utilizzare le mascherine, destinate a medici, infermieri e operatori delle residenze per anziani, anche nei reparti di terapia intensiva dove c’è il maggiore rischio. Inoltre, è stata fatta una circolare ad hoc per comunicare ai dipendenti di non indossare “le maschere troppo grandi o troppo piccole” o “le maschere che scivolano durante il movimento”.

Lo scandalo è scoppiato proprio alla vigilia della nuova ordinanza, entrata in vigore il 7 aprile, che dispone in tutta l’Alto Adige l’obbligo di avere bocca e naso coperti, pena una multa da 280 euro. In questo senso, come annunciato da Kompatscher, la Provincia ha provveduto a fornire alle aziende del commercio al dettaglio 20mila mascherine gratuite. L’anomalia in questo caso riguarda la distribuzione, affidata ancora una volta alla Oberalp, come ha rivelato la testata online BZNews24. Il costo del servizio, tra trasporto e logistica, è fissato a 6,40 euro a consegna. Spesa che finisce a carico delle associazioni di categoria, come denunciano Nicolini e il consigliere di FdI Alessandro Urzì nelle loro interrogazioni presentate in consiglio e riportate da BzNews24.

Infine, sempre la Provincia ha provveduto alla distribuzione di 300mila ‘scaldacollo‘ per coprire naso e bocca. Oltre ai dubbi delle autorità sanitarie sulla loro efficacia, gli scaldacollo sono stati prodotti in Romania da Texmarket, azienda di Christoph Widmann, il cugino del già citato assessore alla sanità. Che ha replicato, come si legge sul quotidiano Alto Adige: “I contatti sono avvenuti tramite Assoimprenditori, che ha sottoposto all’attenzione del direttore generale dell’Azienda sanitaria Florian Zerzer i nomi dei produttori che avrebbero potuto aiutarci ad alleviare la grave carenza di mascherine”.

“La Provincia ha trasformato il supporto in un’operazione di marketing che poi le si è ritorta contro, affidandosi ai soliti ‘amici'”, commenta il consigliere M5s Nicolini. Che contesta alla Svp soprattutto la “poca trasparenza“, anche sull’ultima vicenda che riguarda le mascherine: “Non è colpa loro se le mascherine non sono idonee, ma avrebbero dovuto ritirarle o rendere note le informazioni in loro possesso”.Quanto al partner di governo, la Lega, Nicolini aggiunge: “È inconsistente e non è in grado di incidere. Così è diventata il partner perfetto della Svp”. Il consigliere provinciale, alla luce di quanto emerso finora, esprime preoccupazione anche per la gestione futura: “Il pericolo è quello che succederà dopo Pasqua, viste le forti pressioni di Assoimprenditori per una riapertura“.

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