Rinunciare agli amici. Niente parco, partite in cortile, cinema o feste. Vietato andare a scuola e mangiare cibi crudi. Per mesi e mesi, a volte anni. E questo accade proprio nell’età in cui la fame di vita morde. Così scorrono i giorni dei bambini e degli adolescenti che ogni anno si ammalano di leucemia e che devono sottoporsi a cicli di terapie. In alcuni casi, al trapianto di midollo osseo. La riduzione delle difese immunitarie impone loro l’ulteriore fatica dell’isolamento. Per questo il Centro Maria Letizia Verga di Monza, realtà d’eccellenza nella cura della leucemia infantile, ha trasformato l’emergenza Covid nell’occasione per aprire una finestra sul loro universo. Dando un volto a ogni loro storia, rendendoli protagonisti grazie a una serie di video in cui raccontano la propria esperienza e regalano consigli per vivere meglio questo tempo sospeso.

L’idea del Comitato è nata in questi giorni di chat e di confronti che accomunano i giorni del distanziamento sociale. “Cosa possiamo fare per farci capire e far capire?”, la domanda. La risposta ha preso forma nel videoappello di un medico, Marta Verna, dal 2013 impegnata nel gruppo che si occupa dei trapianti. Da settimane, come per altri suoi colleghi, il lavoro si è spostato nel reparto Covid dell’ospedale San Gerardo di Monza. Non potendo vedere i “suoi” bambini, ha mandato loro un videomessaggio, fatto circolare sui canali social: “Ragazzi, in questi giorni non ci vediamo, ma abbiamo comunque bisogno di voi, dovete essere i nostri insegnanti”.

Il gioco è stato facile: di lì a poche ore verso il Centro Verga hanno cominciato a convergere i videomessaggi, da chi è guarito come da chi è ancora in cura. “Questi bambini – racconta Verna – hanno vissuto o vivono ancora un isolamento reale. Hanno applicato prima degli altri quelle regole che ora noi tutti conosciamo per il Covid. Come il divieto di aggregazione o la necessità di portare una mascherina e di lavare e sterilizzare tutto. Sono esperti, sono testimonial di eccellenza. Dunque perché non far spiegare a loro come si fa? E quali risorse tirare fuori in questa situazione? Hanno davvero diritto di parlare. Possono aiutare la comunità in un momento eccezionale”.

E allora basta ascoltare anche una sola delle loro voci per restituire la giusta dimensione ai sacrifici che ci sono imposti per contenere il contagio. Come Isi, 19 anni di cui 4 passati in isolamento. Isi ha trascorso un anno intero in una stanza di ospedale. Lui la quarantena l’ha superata anche grazie alla passione per la musica. Oggi sta bene e sorride spiegando il valore della pazienza e l’importanza delle regole. “Ce l’abbiamo fatta noi, ce la potete fare anche voi” dice Aurora, 11 anni. Mirko ha la stessa età e confessa con naturalezza la soddisfazione di poter tornare a mangiare tutto ciò che desidera. Cosa tutt’altro che scontata per chi è immunodepresso. “Il cibo è sicuramente uno dei sacrifici maggiori. Devono avere una dieta a bassa carica microbica. Tutto deve essere cotto. Niente salame, niente pane e dolci del panificio. La frutta deve essere sbucciata. Un altro degli obblighi che porta maggiore sofferenza è il divieto di frequentare coetanei. Possono vedere solo genitori e persone adulte sane. Ammessi anche fratelli e le sorelle, ma a patto che non abbiano nemmeno un raffreddore”.

Anche la scuola è un ambiente potenzialmente pericoloso per loro. “Nel nostro day hospital ogni mattina arrivano 70-80 pazienti per fare le terapie – racconta Lorella Marcantoni, responsabile della comunicazione del Centro Verga – entrano alle 8 e vanno via nel pomeriggio. Abbiamo quindi organizzato una serie di attività. Abbiamo un insegnante all’interno del centro che è in contatto con le scuole dei ragazzi, così da poter rispettare il loro programma”.

Nato 40 anni fa da un’iniziativa privata, oggi il Centro è a tutti gli effetti inserito nel contesto ospedaliero pubblico, a cui si accede attraverso il sistema sanitario nazionale. Nella Clinica pediatrica dell’Università Milano Bicocca Fondazione MBBM/Ospedale San Gerardo diretta dal professor Andrea Biondi vengono accolti dai 60 agli 80 bambini all’anno e sono circa 250 quelli attualmente in cura. In queste settimane, a causa delle restrizioni, le attività interne sono state ridotte all’essenziale. Sono state sospese la musicoterapia, il laboratorio di ceramica, i giochi con i volontari e gli scherzi con i clown. “L’iniziativa – aggiunge Marcantoni – serve quindi anche a mantenere vivo il legame con i ragazzi. A non farli sentire abbandonati in un momento in cui, senza attività di sostegno, l’isolamento è ancora più duro. E devo dire che la risposta all’appello è stata spontanea e straordinaria”.

Video del Comitato Maria Letizia Verga
Il Comitato Maria Letizia Verga per lo studio e la cura della leucemia del bambino fondato nel 1979 ha l’obiettivo di offrire ai bambini e ragazzi in cura presso il Centro Maria Letizia Verga di MonzaFondazione MBBM sostegno in ricerca cura e assistenza.

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