“Un’app che possa monitorare i contagi da Covid-19 attraverso il tracciamento dei contatti delle persone positive al coronavirus”. Il governo sta valutando seriamente questa possibilità, ispirata al modello di contenimento utilizzato con successo in Sud Corea. Lo ha confermato il ministro delle Autonomie Francesco Boccia, dopo che sabato Walter Ricciardi dell’Organizzazione mondiale della sanità, consulente scientifico del ministro della Salute Roberto Speranza, aveva spiegato che “individuando precocemente tutti i contagiati e i loro contatti, potremmo garantire a quelli che non hanno problemi di circolare liberamente”. Già lunedì, secondo La Stampa, dovrebbero partire i lavori di una task force dedicata, sotto la guida dello stesso Ricciardi. La ministra dell’Innovazione Paola Pisano ha detto che non si sta ragionando “su come tracciare spostamenti ma se tracciare sia la risposta giusta per salvare vite”. Il Garante della privacy ha già fatto sapere che la normativa sulla protezione dei dati personali “contiene già in sé gli strumenti per affrontare le emergenze come quelle che stiamo vivendo”.

Lo studio: con i dati si riduce il tempo necessario per ricostruire catena del contagio – L’opportunità di tracciare i movimenti utilizzando i dati dei cellulari è corroborata da un nuovo studio, secondo cui è essenziale per fermare l’epidemia. La ricerca è stata elaborata da un team di studiosi guidato dall’italiano Luca Ferretti dell’Università di Oxford ed è stata finanziata dalla Li Ka Shing Foundation. Gli esperti hanno analizzato un campione di coppie di pazienti cinesi, per i quali è stata accertata la trasmissione del virus da un soggetto infetto a un altro sano, per stimare le caratteristiche e la dinamica del Covid-19. Il periodo di incubazione dura in media 5,5 giorni e per trasmettersi da un soggetto infetto a uno sano il virus impiega in media 5 giorni. La ricostruzione della catena di contagio è laboriosa, dipende dai ricordi dei pazienti e implica un lavoro investigativo che richiede più giorni di quelli che impiega il virus a trasmettersi. Secondo gli autori però il ritardo può essere facilmente ridotto a zero con l’uso di informazione in tempo reale, installando un’App sullo smartphone delle persone a rischio.

La app che capisce se in zona c’è un focolaio – Ad una app ad hoc stanno già lavorando Luca Foresti, fisico e amministratore delegato della rete di poliambulatori specialistici Centro medico Santagostino, Giuseppe Vaciago, avvocato ed esperto di protezione dei dati sensibili, e le società tecnologiche Jakala, Bending Spoons e Geouniq. “Vogliamo costruire un sistema tecnologico che possa andare nelle mani delle istituzioni per aiutarle a gestire la crisi: tenuto conto del fatto che non sarà breve e avrà una crescita, è importante avere strumenti che permettono di tracciare cosa succede sul territorio”, ha spiegato Foresti. La tecnologia alla base dell’app permette, a partire dai dati georeferenziati e anonimi, di individuare movimenti e interazioni delle persone, raccoglie un loro diario clinico come l’insorgenza della febbre e altri sintomi, e sulla base delle informazioni georeferenziate ad esempio capisce, molto prima dell’arrivo in ospedale, che in una zona c’è un focolaio. Il tracciamento, inoltre, permette di comprendere con quali persone il soggetto è entrato in contatto e se è scattata l’auto-quarantena. In Corea del Sud tutti i dati raccolti con la app ad hoc Corona 100m, compresi i movimenti delle persone risultate positive, sono a disposizione dei cittadini che possono visualizzarli su una mappa.

“Motivi di interesse pubblico consentono di trattare dati senza consenso”Giuliano Noci e Alfio Quarteroni, docenti del Politecnico di Milano, hanno lanciato insieme ad Ottavio Crivaro una petizione su change.org con l’hashtag #donaituoidati: l’idea è che i cittadini rendano disponibili i loro dati sanitari per consentire l’individuazione precoce dell’insorgere di nuovi focolai di Covid19 e interventi tempestivi. E la privacy? Giuseppe Busia, segretario generale dell’Autorità garante per la tutela dei dati personali, ha dichiarato in un’intervista al sito In Terris che “abbiamo la fortuna di vivere in un ordinamento democratico e per questo non sarebbero possibili alcune forme di controllo generalizzato e pervasivo che abbiamo visto adottare in Cina. Tuttavia, la normativa sulla protezione dei dati personali contiene già in sé gli strumenti per affrontare le emergenze come quelle che stiamo vivendo”. In particolare, sottolinea il giurista, “dati pure molto delicati, quali quelli sul contagio, possono essere trattati anche senza il consenso degli interessati quando questo è necessario per motivi di interesse pubblico, come nel caso di gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero. È però necessario che questo avvenga sulla base di una normativa trasparente, che preveda misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà delle persone”.

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