“Seguo le videoconferenze delle rianimazioni in Italia che stanno affrontando l’emergenza. Lodi, Lecco, Torino, Bergamo. Quello che descrivono oggi sarà la nostra situazione tra 10 giorni”. Paolo Dallaglio parla da una Barcellona in silenzio da sabato, da quando il governo Sanchez ha deciso di ricalcare il modello italiano per il contenimento dei contagi. Da 15 anni è cardiologo dell’Hospital de Bellvitge, una delle più importanti strutture pubbliche dell’area metropolitana. In Spagna – che ha deciso di ripristinare i controlli alle frontiere interne insieme ad altri 13 Paesi Ue e dove Re Felipe parla alla nazione – i casi di coronavirus sono arrivati come uno tsunami: oggi sono 13.716, 2.538 più di ieri, con un amento del 18%. Madrid, Catalogna e Paesi Baschi le comunità più colpite. Le vittime sono 558 e 774 le persone in terapia intensiva. Un aumento del 37,4% rispetto a ieri che ha spinto il governo a chiedere tamponi anche a chi ha sintomi lievi perché, scrive El Pais, l’aumento dei ricoveri in rianimazione è la prova che i dati a disposizione “nascondono gran parte dell’epidemia”. Al momento, secondo quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, i test continuano a essere fatti soltanto a chi viene ricoverato. Anche in Spagna Covid-19 ha colpito le fasce più vulnerabili della popolazione: un caso emblematico è quello della casa di riposo di Monte Hermoso, a Madrid, dove ieri sono morti 19 anziani. E c’è un “caso Codogno” in Catalogna: è la città di Igualada, isolata insieme ad altri tre comuni della comarca di Anoia dopo che l’epidemia era scoppiata al pronto soccorso. Tutti aspetti molto simili all’Italia, anche se la consapevolezza dell’emergenza – come è successo finora nella maggior parte dei Paesi europei – è coincisa con l’arrivo a valanga dei contagi.

“La Spagna ha preso coscienza da pochi giorni – spiega Dallaglio -. Adesso il sistema sanitario si sta organizzando molto velocemente, dopo una fase di inerzia. È stata una grossa colpa, ma ora si stanno bruciando le tappe. Abbiamo l’esempio dell’Italia che è dovuta partire da zero, con il solo caso della Cina e con l’obbligo di improvvisi cambi di rotta. Quindi andiamo in fretta”. Una rapidità inevitabile visti i numeri in salita. Perché così tanti casi adesso? “I motivi possono essere diversi. Si stanno facendo molti test perché siamo all’inizio, abbiamo ancora i reagenti. Ma presto ci saranno anche limiti sulla disponibilità dei tamponi. Può essere che al momento ci troviamo in una fase diversa dell’epidemia, che è scoppiata in due grandi città, Barcellona e Madrid, centri con alta densità abitativa e dove c’è una percentuale di giovani più alta rispetto a quella delle valli bergamasche. Questo fa sì che il contagio e il numero degli asintomatici sia più alto. In più in Spagna la promiscuità sociale è maggiore rispetto all’Italia: la gente frequenta molto bar e locali, favorendo così il contagio”.

Intanto il decreto del governo è arrivato e ha deciso la serrata: alcune comunità avevano già stabilito alcune chiusure, “specie nella comunità di Madrid e nel Paese Basco dove ci sono stati molti contagi – precisa Dallaglio -. La Catalogna aveva chiesto giorni fa di autoisolarsi, ma l’autorizzazione dallo stato centrale non è arrivata. Guardando invece alla popolazione, mi sembra sia molto disciplinata nel seguire le regole“. Per il cardiologo, a fare la differenza tra Italia e Spagna, è soltanto un fattore: il tempo. “Qui vedremo gli stessi problemi: materiale che scarseggia, tensioni nel sistema sanitario. Col decreto di sabato il governo può requisire qualsiasi attività o fabbrica utile per la produzione di materiale e respiratori, così come gli ospedali privati sono a disposizione del ministero della Sanità”.

Lo vede di persona Luca Chirichiello, anestesista in una clinica privata a Barcellona. Parla dal suo appartamento sulla Gran Via. Si affaccia sulla strada, deserta. Passano solo un’ambulanza e un’auto della polizia. Nient’altro. “Anche la mia clinica è a disposizione. Tutti gli ospedali privati diventano supporto di quelli pubblici e sono stati già sospesi interventi non urgenti, anche se la situazione al momento non è ancora chiara”. C’è già bisogno di infermieri e medici, specie “nell’ospedale di Igualada, dove il 50-60% del personale è in quarantena. Lì, come a Codogno, il pronto soccorso è stato un focolaio”. Il contagio si è diffuso molto anche a Madrid, che Chirichiello e i giornali definiscono “la Lombardia spagnola”. “È una città piena di pendolari e fuori sede e finisce per essere concentrare molti contagi. C’è la sensazione che l’emergenza vera debba ancora arrivare”. Anche Sanchez ha detto che la Spagna deve prepararsi ad affrontare il momento più duro. Eppure solo quattro giorni fa la situazione era rilassata.

“Fino al 9 marzo – precisa Dallaglio -, pur seguendo l’aumento dei casi in Italia, c’erano incredulità e superficialità nelle strutture sanitarie perché non ci si aspettava che sarebbe successo anche qui. Tanto che l’8 marzo erano in migliaia a manifestare per le strade di Barcellona”. Il cambio è arrivato la settimana scorsa, quando “gli ospedali hanno iniziato a realizzare che il problema era già qui e che la situazione sarebbe esplosa”. Adesso è il momento della presa di coscienza e dell’azione. “Non è facile mantenere la calma in ospedale, specie per i medici di malattie infettive e terapia intensiva, visto che i pazienti che arrivano sono tanti. E così, come in Italia, rischiano di saturare il sistema sanitario“.

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