L’antica massima latina secondo la quale la salvezza della Repubblica dovrebbe costituire la legge suprema pare oggi tornare di grande attualità. Di fronte a una calamità i cui esiti finali appaiono ancora sconosciuti e grandemente minacciosi, come l’epidemia di coronavirus, risulta del tutto evidente come la libertà individuale debba essere limitata e sacrificata per agevolare il conseguimento dell’interesse collettivo, in questo caso alla non propagazione di un virus che si avvia a fare mille vittime nel nostro Paese. E purtroppo potrebbe farne molte di più.

Non mi convincono quindi determinate letture catastrofiste e complottiste della situazione, vista come una sorta di macchinazione al servizio di vocazioni autoritarie. Come affermato dal professor Azzariti le misure eccezionali adottate sono del tutto legittime a condizione che siano limitate nel tempo. Del pari, risultano fuori luogo e chiaramente di bassa natura demagogica, com’è del resto nelle loro consuete corde, le richieste della destra, Salvini e Meloni in testa, di misure ancora più drastiche di quelle già adottate.

Misure di chiusura totale dell’attività economica vanno responsabilmente valutate dal governo sulla base dell’innegabile sovraordinazione della salute pubblica a qualsiasi altro interesse. Non ha però senso una gara a chi fa più il duro, soprattutto se oggi si chiedono misure drastiche di chiusura dopo aver chiesto dieci giorni fa in modo irresponsabile l’apertura di tutto. Questa è solo schizofrenia.

Occorre ovviamente indirizzare ogni risorsa a un rafforzamento del sistema sanitario in tutte le sue componenti a partire dalle emergenze che oggi si registrano, avviando contemporaneamente una riflessione seria e approfondita sulle responsabilità del taglio, avvenuto negli ultimi dieci anni, pari a 37 miliardi di euro ovvero 70.000 posti letto.

La salvezza della Repubblica non potrà certo essere ottenuta devastando la sua salute (il termine latino salus significa del resto l’una cosa e l’altra) e le strutture deputate a tutelarla. Eppure ciò è proprio quello che è stato fatto negli ultimi dieci anni. Se vogliamo trovare i nomi dei responsabili basterà vedere chi ha governato, a livello nazionale e regionale, in tali anni. Non è certamente un esercizio difficile. Occorre anche procedere fin da subito alla requisizione delle strutture sanitarie private: la salute deve essere un diritto e non un’occasione di profitto.

Come affermato dall’Organizzazione mondiale della sanità, il governo della Repubblica popolare cinese, il primo Paese colpito dal virus, deve costituire un esempio per l’efficacia delle politiche perseguite che hanno ottenuto risultati sostanziali nel contenimento dell’epidemia. Il ministro degli esteri cinese, Wang Yi ha pubblicato recentemente una dichiarazione nella quale si sottolinea il riconoscimento internazionale tributato alla Cina e alle sue politiche di lotta al virus e si promuove con forza la cooperazione internazionale in materia.

Tale iniziativa riguarda oggi per ovvi motivi in primo luogo il coronavirus ma va ben al di là. Wang Yi infatti ha sottolineato la necessità di rafforzare il sistema sanitario mondiale nel suo complesso che oggi appare ben al di sotto delle necessità. Una riflessione sulla necessità del rafforzamento del proprio sistema sanitario si impone peraltro anche ai governanti cinesi, che hanno realizzato solo in tempi relativamente recenti taluni passi ancora insufficienti nella direzione del recupero di una copertura universale del servizio.

Non si tratta solo di parole, dato che lo stesso Wang Yi ha dichiarato che verranno inviate in dono in Italia centomila mascherine ad alta tecnologia, ventimila tute protettive e cinquantamila tamponi per test diagnostici, mentre saranno acquistati dal governo italiano mille ventilatori polmonari per i reparti di terapia intensiva.

La stessa Repubblica popolare cinese si è del resto giovata dell’apporto della cooperazione e solidarietà internazionale nelle prime fasi dell’epidemia e restituisce oggi cogli interessi il contributo ricevuto. Anche Cuba è in prima fila nella battaglia contro il coronavirus: i medicinali cubani hanno dato proprio in Cina buona prova e ne andrebbe valutata con serietà l’utilizzazione anche da noi, così come va registrata la possibilità di ottenere l’intervento in Italia di medici cubani.

La battaglia potrà essere vinta nel segno della necessaria disciplina delle attività individuali, ma anche della solidarietà sia a livello nazionale che internazionale, accordando la massima attenzione possibile ai settori più fragili e vulnerabili della nostra società e cogliendo l’occasione della campagna contro il virus per introdurre maggiori elementi di equità ed eguaglianza nel sistema. Il liberismo ha i giorni contati?

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