L’ipotesi nei primi giorni dell’emergenza in Cina, con l’aumento esponenziale dei casi, era che l’epidemia di quello che era un nuovo coronavirus fosse iniziata a metà dicembre. Invece uno studio italiano, realizzato dai ricercatori dell’università Statale di Milano, dimostra che la circolazione di Sars CoV2 che provoca la malattia Covid 19 deve essere retrodata e “può essere collocata tra la seconda metà di ottobre e la prima metà di novembre 2019, quindi alcune settimane prima rispetto ai primi casi di polmonite identificati”. La diffusioni di quelle polmoniti anomale in Cina è iniziata molto prima di quanto prima si pensasse. La ricerca è stata appena accettata per la pubblicazione sul Journal of Medical Virology e i risultati sono già stati inviati dalla rivista all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Analizzati 52 genomi virali completi – Il team è quello di Gianguglielmo Zehender, Alessia Lai e Massimo Galli del Dipartimento di Scienze biomediche e cliniche (Dibic) Luigi Sacco dell’università degli Studi di Milano e Crc Episomi (Epidemiologia e sorveglianza molecolare delle infezioni). La ricerca, condotta nel laboratorio della Clinica delle Malattie infettive del Dibic all’ospedale Sacco di Milano, è stata svolta “sulle variazioni del genoma virale e quindi sulla filogenesi del virus stesso – precisano gli autori – e non sul numero dei casi osservati”. Oggetto dell’indagine 52 genomi virali completi di Sars Cov2 depositati in banche dati al 30 gennaio 2020. “La ricerca ha consentito la datazione dell’origine e la ricostruzione della diffusione dell’infezione nei primi mesi dell’epidemia in Cina – evidenziano gli studiosi – attraverso la stima di parametri epidemiologici fondamentali come il numero riproduttivo di base (R0) e il tempo di raddoppiamento delle infezioni“.

Comparsa quindi “tra la seconda metà di ottobre e la prima metà di novembre 2019”, l’epidemia ha avuto a partire da dicembre una devastante accelerazione: da allora, ogni contagiato ha prodotto altri 2,6 casi e il tempo di raddoppio dell’epidemia è stato di 4 giorni. “È verosimile – commentano comunque gli autori – che tale rapidità di crescita dei casi si sia successivamente ridotta in seguito alle misure restrittive adottate in Cina. Ulteriori studi su genomi isolati in un periodo più recente potranno confermare l’utilità di queste tecniche anche nel valutare gli effetti delle misure di prevenzione adottate”. “L’epidemiologia molecolare e lo studio della filogenesi virale – concludono i ricercatori – non sono influenzati da possibili fonti di incertezza, come i ritardi di notifica o le sottonotifiche di nuovi casi e rappresentano quindi un importante strumento complementare all’epidemiologia classica“.

Il salto e la capacità del virus di trasmettersi da uomo a uomo – “La stima del numero riproduttivo (il numero di casi generati da ogni singolo caso), ovvero il parametro che misura la rapidità con cui il virus viene trasmesso, attuata utilizzando modelli matematici ed evolutivi – spiegano gli scienziati milanesi – ha consentito di evidenziare una vera accelerazione nella capacità di propagazione del virus, una spinta espansiva databile a dicembre 2019. Da un numero riproduttivo molto contenuto, inferiore a 1, a dicembre il virus è infatti passato a 2,6, osservazione che permette di ipotizzare la rapida acquisizione di una maggior efficienza di trasmissione del virus“. Questa trasformazione, ipotizzano gli studiosi, “potrebbe essere dovuta a variazioni o nelle capacità del virus di trasmettersi da uomo a uomo, o nelle caratteristiche della popolazione prevalentemente infettata”.

Un altro aspetto chiave rilevato dai ricercatori, “collegato al precedente, è il tempo di raddoppiamento dell’epidemia (il periodo nell’arco del quale si raddoppia il numero degli infetti, ndr), stimato a partire da dicembre in circa 4 giorni e quindi inferiore a quello calcolato sulla base del numero dei casi notificati nello stesso periodo, che risultava pari a circa una settimana”. La teoria degli scienziati è “che la trasmissione animale serbatoio-uomo e le prime trasmissioni interumane siano state limitatamente efficienti, per poi aumentare in rapidità ed efficienza durante il mese di dicembre”. Originariamente, sottolinea Zehender all’Adnkronos, “il virus si diffondeva meno efficacemente. A un certo punto le cose sono cambiate. Il nostro studio ci suggerisce un’ipotesi su come e perché la trasmissione sia diventata più efficiente: essendo un virus arrivato da un serbatoio animale, nei primi mesi prevaleva questa trasmissione animale-uomo, mentre a dicembre probabilmente si sono innescate modalità più efficaci come quella respiratoria e quindi uomo-uomo. Da qui la comparsa dei primi casi clinici più evidenti. Questa è un po’ la ricostruzione che abbiamo fatto”.

I ricercatori svizzeri: “Si diffonde più velocemente dell’influenza”- Anche i ricercatori svizzeri Politecnico di Zurigo (Eth) ipotizzano, sotto la guida della biologa computazionale Tanja Stadler, che l’epidemia sia cominciata nella prima metà di novembre. Il gruppo di Stadler ha analizzato pure le dinamiche dell’epidemia prima che la città di Wuhan fosse messa in quarantena il 23 gennaio 2020. In particolare è stato calcolato il numero medio di persone che un malato può contagiare (numero di riproduzione) e che è risultato compreso tra 2 e 3,5, confermando le stime precedenti, che ipotizzavano un numero compreso tra 2 e 4. Tutto questo significa che la diffusione è più veloce rispetto all’influenza stagionale (che ha un tasso di riproduzione in genere inferiore a 1,5). “Questo numero è uno dei parametri chiave di un’epidemia”, osserva Stadler. Perché, aggiunge, “fornisce informazioni importanti sull’efficacia di misure come la quarantena. Solo se le misure di controllo riescono a ridurre questo numero saranno efficaci”. Utilizzando metodi statistici, è stato inoltre stimato quante persone sono state infettate in Cina entro il 23 gennaio. L’analisi mostra che in quella data, probabilmente i casi erano compresi tra 4.000 e 19.000. Tuttavia in quel momento i casi confermati erano 581. Ciò significa: nel caso più estremo, solo 1 persona ammalata su 33 è apparsa nelle statistiche ufficiali, nel migliore dei casi 1 persona su 7. I ricercatori hanno reso disponibile l’analisi ad altri studiosi sul portale Virological, ma avvertono che il loro lavoro non è stato esaminato da altri esperti, come prevedono gli standard nella ricerca perché in una situazione come questa, ciò avrebbe richiesto troppo tempo.

Articolo Precedente

Coronavirus, isolato all’ospedale Sacco di Milano il ceppo italiano. Il professore Galli: “Da quattro pazienti di Codogno”

next