di Enrico Pietra

Max Calderan ce l’ha fatta. L’esploratore estremo nato a Portogruaro ha attraversato a piedi il Rub’ al-Khali, il Quarto Vuoto, il secondo più grande deserto di sabbia al mondo. In diciotto giorni ha coperto una distanza di oltre mille chilometri, solcando l’ultimo luogo rimasto inesplorato su questo pianeta, al centro di antiche leggende, aggirato dagli animali e dai volatili. Un’impresa senza precedenti, che non si limita a riscrivere le cartine geografiche dell’Arabia Saudita con quella che è stata già definita la “Calderan Line”, tracciata dalla congiunzione di oltre cento punti d’interesse marcati lungo il percorso. Max ha riformulato i parametri medico-scientifici ascrivibili a un essere umano, correndo e ansimando, da solo, con una scorta minimale d’acqua e di cibo, seguito via satellite metro per metro da tre diversi centri di controllo ma incontrando il suo team solo nei punti prefissati.

In altre parole, non si tratta soltanto di disquisire su un’epopea inimmaginabile, folle, inaudita. Non c’è unicamente il desiderio di fissare nuovi limiti e osservare da vicino chi dimori dall’altra parte. Cosa può spingere un uomo ad attraversare tempeste di sabbia tali da generare in pochi minuti dune fagocitanti il creato? Quale può essere il senso di mettere a repentaglio la vita, al punto da arrivare a uno stato limite di disidratazione e prostrazione implicante allucinazioni, percezioni alterate, contatto con l’invisibile? Difficile delineare l’impossibile quando qualcuno decide che impossibile non è, ma ancor di più è cogliere l’intimità di un gesto estremo, radicale. Perché non sono le imprese, ma il senso profondo che se ne trae, a rendere il mondo un posto migliore.

Gepostet von Max Calderan am Montag, 13. Januar 2020

E allora per comprendere appieno dovremmo forse rinverdire la valenza profonda della realizzazione di un sogno (da quando aveva sette anni Calderan anelava di attraversare il Quarto Vuoto) e del poter fissare il proprio posto nel mondo, senza accontentarsi di essere fagocitati più o meno consapevolmente dalla media statistica, costruendo giorno dopo giorno un’individuale alterità. Per arrivare in fondo Max racconta di aver avuto la necessità di instaurare un dialogo interiore col deserto, implorandolo di lasciar continuare il percorso almeno all’anima “per poter condividere questa esperienza col resto dell’umanità”.

All’arrivo i poliziotti della frontiera non potevano credere che Calderan avesse compiuto la traversata del Rub’ al-Khali, sebbene nel suo palmares ci fossero già la corsa per il deserto del Qatar, i 437 km del sultanato dell’Oman in novanta ore, l’arrivo sulla cima del Monte Sinai (dove Mosè ricevette le tavole dei Dieci Comandamenti) provenendo da Ramallah, più di trecento chilometri in cinque giorni bevendo un solo litro d’acqua. Per i medici il fisico di quest’uomo è straordinario ma non diverso da quello di qualsiasi altro: non può esservi pertanto spiegazione scientifica. Per lui si tratta di passione e di vita, liberazione da qualsiasi sovrastruttura, un messaggio di pace e speranza. Per noi di apprendere il mistero della forza dentro.

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