Due anni di carcere per procurata inosservanza della pena. L’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola è stato condannato in primo grado nel processo “Breakfast”. Lo ha stabilito il Tribunale di Reggio Calabria che lo ha giudicato colpevole per aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare Amedeo Matacena. Scajola era stato arrestato nel 2014 dalla Dia al termine di un’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Dopo 5 anni di dibattimento e più di 120 udienze, oggi il presidente del Tribunale Natina Praticò ha letto in aula bunker il dispositivo di sentenza.

Per lo stesso reato contestato a Scajola è stata condanna a un anno di carcere pure Chiara Rizzo, la moglie di Matacena per la quale la Dda aveva chiesto una pena molto più alta (11 anni) ma, evidentemente, al vaglio del Tribunale non ha retto l’aggravante mafiosa. Piuttosto, vista la pena che le è stata inflitta (la metà dell’ex ministro) non è escluso che i giudici le abbiano riconosciuto qualche attenuante.

L’aggravante mafiosa, in un primo momento, aveva riguardato anche l’attuale sindaco di Imperia ma alcune recenti sentenze di Cassazione, sulla sufficienza del dolo generico rispetto al dolo specifico, hanno indotto il pm a riformulare l’accusa riducendo, durante la requisitoria, la richiesta di condanna (4 anni e mezzo di carcere) nei confronti di Scajola. In sostanza, così come sostenuto dal procuratore aggiunto nelle precedenti udienze, anche per i giudici di primo grado “non è dimostrato che Scajola abbia agito favorendo la latitanza Amedeo Matacena al fine di agevolarlo quale componente esterno della ‘ndrangheta”.

In altre parole l’ex ministro e fondatore di Forza Italia avrebbe favorito Amedeo Matacena in quanto suo compagno di partito che però è un politico già condannato definitivamente per concorso esterno con la ‘ndrangheta (nel processo “Olimpia”) e considerato espressione della cosca Rosmini. Il Tribunale, presieduto dal giudice Natina Praticò, ha decretato inoltre la prescrizione per la segretaria di Matacena, Maria Grazia Fiordaliso, mentre è stato assolto il collaboratore dell’ex deputato, Martino Politi.

Il processo “Breakfast” ha ricostruito il tentativo dell’ex parlamentare di Forza Italia, oggi latitante a Dubai, di trasferirsi dagli Emirati Arabi a Beirut, in Libano, dove l’ex ministro dell’Interno Scajola, stando all’impianto accusatorio, avrebbe potuto godere di appoggi istituzionali. L’uomo di collegamento sarebbe stato Vincenzo Speziali, anche lui coinvolto nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria a cui, dopo un periodo di irreperibilità, ha chiesto e ottenuto di patteggiare la pena per lo stesso reato contestato a Scajola.

Speziali, infatti, è parente acquisito dell’ex presidente del Libano Amin Gemayel che, più volte e invano, è stato chiamato a deporre davanti al Tribunale. A proposito, proprio stamattina prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, durante il suo intervento il procuratore aggiunto Lombardo ha spiegato che Amin Gemayel è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Speziali è “il soggetto – ha ricordato il pm Lombardo – incaricato di svolgere le funzioni agevolatrici che avrebbero consentito di avere risposte dalla Repubblica del Libano”. “L’uomo di collegamento”, infatti, “non è uno qualunque e il suo rapporto con Claudio Scajola è una chiave di lettura importante in relazione alla vicenda di Dell’Utri”.

Siamo nel 2014 e, secondo la Procura di Reggio Calabria, i destini di Marcello Dell’Utri e di Amedeo Matacena percorrono due strade parallele ed entrambe portano in Libano. Non è un caso che il primo, dopo che la sua sentenza è diventata definitiva, è stato arrestato a Beirut dove, da lì a poco, si sarebbe voluto rifugiare anche il parlamentare reggino. Grazie alle intercettazioni registrate dalla Dia di Reggio Calabria, il procuratore Lombardo è riuscito a ricostruire i movimenti di Scajola, fino a poco tempo prima ministro dell’Interno del governo Berlusconi. Moltissimi, infatti, sono stati i contatti tra il politico ligure e la moglie di Matacena Chiara Rizzo.

Intercettazioni che, dopo aver portato al loro arresto, sono state al centro del processo concluso oggi. Telefonate e attività di indagine classica che fanno il paio con il fax partito da Beirut e trovato dagli agenti della Dia in possesso di Scajola durante la perquisizione il giorno dell’arresto. Un fax in lingua francese con le indicazioni che si sarebbero dovute seguire per far ottenere a Matacena l’asilo politico in Libano.

“Speravo si risolvesse già in primo grado – è il commento di Scajola a caldo, pochi minuti dopo la sentenza – Poiché sono uomo delle istituzioni e credo nella giustizia, vuol dire che ciò che non è stato sufficiente in primo grado sono certo che si risolverà nel secondo grado. Posso solo dire che a confronto della richiesta di condanna del pubblico ministero e di tutta l’inchiesta, mi pare che si sia sostanzialmente sgonfiata. Non mi dimetterò da sindaco di Imperia. Proseguo il mio lavoro ancora con più impegno di prima perché nulla di questo entra con la mia attività amministrativa. Né nulla di questa condanna in primo grado ha a che fare con reati contro il patrimonio e quant’altro. Io ribadisco che mi sono interessato con l’ambasciata per vedere se era possibile l’asilo politico. Non penso sia questo un reato. Non ho aiutato Matacena, ma solo una donna (Chiara Rizzo, ndr) che era in affanno”.

A proposito, soffermandosi sul comportamento di Scajola, nelle settimane scorse il procuratore aggiunto Lombardo lo aveva definito “un uomo di Stato con incarichi elevatissimi e quindi in grado di rendersi conto di cosa significhi agevolare la latitanza di un soggetto condannato in via definitiva per un reato molto grave quale è il delitto di concorso esterno in associazione di tipo mafioso”. Neanche la sua condanna a 2 anni di carcere, però, soddisfa l’interrogativo che il pm si è posto durante la requisitoria: “Dobbiamo per forza chiederci perché lo ha fatto e soprattutto cosa ha fatto”. Una risposta, forse, ci sarà nelle motivazioni della sentenza “Breakfast” che il Tribunale depositerà entro 90 giorni.

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