C’è il doppio zampino del cambiamento climatico dietro quello che sta accadendo a Venezia, che si trova a fare i conti con l’acqua alta, a livelli (187 centimetri) che non si vedevano dal novembre 1966, quando si raggiunsero i 194 centimetri. Siamo ben oltre gli 80 centimetri che delineano la soglia oltre la quale non si può più parlare della semplice alta marea, fenomeno piuttosto frequente nella Laguna e provocato dall’attrazione della Luna sulle maree, oltre che da fattori meteorologici. Ma cosa sta accadendo e quanto dipende l’acqua alta dal cambiamento climatico? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto ad Antonello Pasini, fisico del clima del Consiglio nazionale delle ricerche. “Quello che vediamo e che deriva solo in parte dal cambiamento climatico – spiega – è comunque solo un anticipo di quello che avverrà nei prossimi anni, come preannunciano diversi studi italiani e internazionali e che sarà in modo molto più evidente l’effetto del cambiamento climatico”.

IL DOPPIO ZAMPINO DEL CLIMA – Già ora, però, su quanto accade a Venezia concorrono una serie di fattori. All’alta marea si aggiungono il contemporaneo abbassamento del livello del suolo (nell’area tra il 1950 e il 1970 la terra si è abbassata di circa 12 centimetri, soprattutto a causa dello svuotamento della falda acquifera) e l’innalzamento del livello del mare, dovuto allo scioglimento dei ghiacci. “Quest’ultimo fenomeno è senz’altro dovuto al cambiamento climatico e, quindi, possiamo definirlo come effetto diretto, anche se – spiega Pasini – da solo è la causa di un innalzamento di pochi centimetri delle acque”. A fare la differenza, dunque, è un altro fenomeno legato alle condizioni meteorologiche. “A Venezia l’acqua sale in questo modo – aggiunge l’esperto – quando all’alta marea si aggiungono gli effetti di flussi di venti che arrivano da Sud e che spingono l’acqua del Basso Adriatico fino alla Laguna. Si tratta di una situazione particolare, ma il dato interessante è che questi flussi di venti di Scirocco appaiono sempre più frequenti e, con tutta probabilità, anche in questo caso c’è l’effetto, anche se indiretto, del cambiamento climatico”. Sta cambiando, in pratica, la circolazione del vento: “Con il riscaldamento globale, infatti, la circolazione equatoriale e tropicale si sta spostando verso nord – sottolinea Pasini – con la conseguenza che, anche sulla nostra Penisola, ci sono sempre più spesso venti nella direttrice Sud-Nord e, in particolare, afflussi caldi da Sud”.

SIAMO ALL’ASSAGGIO – Ma se l’innalzamento dell’acqua dovuto in modo diretto al cambiamento climatico è ancora contenuto, Pasini non ha dubbi sul fatto che “Venezia avrà sempre più problemi di acqua alta” fino a scenari già previsti da diversi studi. Parliamo di ricerche, però, che si concentrano sugli effetti di lungo termine e che riguardano diverse aree d’Italia o, in alcuni casi, del continente europeo. Un anno fa, ad esempio, un gruppo di ricercatori tedeschi e britannici, guidato da Lena Reimann del Geographisches Institut della Christian-Albrechts-Universität di Kiel, ha pubblicato sulla rivista Nature Communications uno studio nel quale si fotografava lo stato di 49 siti dell’Unesco situati in prossimità delle coste, in sedici Paesi del Mediterraneo. Tra questi è proprio l’Italia, secondo la ricerca, a ospitare il numero più alto di siti Unesco che potrebbero vivere da vicino catastrofiche inondazioni: tredici su 37 meraviglie europee analizzate nello studio. Questi luoghi sono considerati a rischio di un’alluvione ‘centennale’, evento estremo che si verifica normalmente ogni cento anni, ma che entro il 2100 – dicono i ricercatori – potrebbero ridursi a 40 anni. Tra questi tredici siti, non solo Venezia e la sua Laguna, ma anche l’area archeologica di Aquileia, Ferrara e in parte Ravenna. A Venezia, in particolare, si prevede un picco di marea di 2,5 metri.

LE PREVISIONI DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI GEOFISICA – A fine 2018, invece, sono state illustrate le conclusioni finali del progetto SaveMedCoasts, coordinato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e basato sui dati del comitato Onu per i cambiamenti climatici, l’Ipcc, riadattati per un mare chiuso come il Mediterraneo, e su analisi del movimento verso il basso della superficie terrestre. Secondo lo studio è a rischio inondazioni per l’aumento dei livelli dei mari indotto dai mutamenti climatici una superficie costiera ampia come circa 5,5 milioni di campi di calcio relativa a 163 aree del Mediterraneo. Vengono citate le Cinque Terre, in Liguria, con le coste di Vernazza e Monterosso, le spiagge di Lipari (Eolie) e, anche in questo caso, la laguna di Venezia. Non a caso, proprio le previsioni dell’Ingv, che ha calcolato come il livello medio dell’acqua in Laguna aumenterà di 85 centimetri da qui al 2100, hanno contribuito ad alimentare il dibattito sull’utilità del Mose. Questo perché, visto l’innalzamento previsto dei livelli del mare, sulla base di recenti studi di modellizzazione, le paratie dovrebbero restare alzate per tempi superiori rispetto a quelli previsti in un primo momento. E questo avrebbe inevitabili conseguenze sull’ecosistema.

PER ENEA AL 2100 SARANNO INONDATE 40 AREE COSTIERE – Risale all’inizio del 2019, invece, la pubblicazione di uno studio Enea (Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), che indica le aree costiere e i porti a rischio inondazione in Italia al 2100. Secondo l’Enea entro la fine del secolo l’innalzamento del mare lungo le coste italiane è stimato tra 0,94 e 1,035 metri, prendendo in considerazione un modello cautelativo e “tra 1,31 metri e 1,45 metri”, seguendo una base meno prudenziale. Valori a cui bisogna aggiungere il cosiddetto ‘storm surge’, ossia la coesistenza di bassa pressione, onde e vento, variabile da zona a zona, che in particolari condizioni determina un aumento del livello del mare rispetto al litorale di circa un metro. Quaranta le aree costiere interessate, in primis “una vasta area nord adriatica tra Trieste, Venezia e Ravenna”, ma anche la foce del Pescara, del Sangro e del Tronto in Abruzzo, l’area di Lesina (Foggia) e di Taranto in Puglia, La Spezia in Liguria, tratti della Versilia, Cecina, Follonica, Piombino, Marina di Campo sull’Isola d’Elba, solo per fare qualche esempio.

Articolo Precedente

“Benessere animale”, associazioni contro la nuova certificazione voluta dal governo: “Non distingue allevamenti intensivi da virtuosi”

next
Articolo Successivo

Clima, la perdita di biodiversità costa. Ecco perché abbiamo lanciato un decalogo

next