Neutrale, come la Svizzera. Infatti il suo clan lo hanno chiamato “Piccola Svizzera”. Perché la figura di Carmine Montescuro, un vecchio signore di camorra di 84 anni che ha attraversato decenni di piogge di inchieste e di faide a Napoli senza bagnarsi, si collocava come “elemento neutrale nel panorama criminale cittadino e a essere operativo essenzialmente in affari di natura economica”, scrive il gip Alessandra Ferrigno in una poderosa ordinanza di quasi 1200 pagine, frutto dell’inchiesta coordinata dal pm anticamorra Henry John Woodcock, che coi suoi 23 arresti eseguiti dalla Squadra Mobile ha sgominato la cosca del quartiere di Sant’Erasmo.

Neutrale, dicevamo. Perché negli affari controllati da Montescuro e i suoi sodali – tangenti ed estorsioni intorno al Porto e ai suoi appalti – si realizzava la camera di compensazione degli equilibri delinquenziali cittadini. Ci sono zone di Napoli dove la camorra smette di farsi la guerra e preferisce accordarsi per la spartizione del bottino. Una di queste è proprio l’area portuale: troppo grande e troppo ricca per essere dominata da una sola cosca. E nessuno poteva sovrintenderla meglio di Montescuro, detto ‘Zi Minuzz’, oppure ‘a Vicchiarella’, quest’ultimo nomignolo attribuitogli per la saggezza e la sagacia che gli riconoscono i capi clan.

La Dda di Napoli – procuratore capo Giovanni Melillo, procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli – ha chiesto e ottenuto per Montescuro il carcere nonostante l’età avanzata, nel timore che dagli arresti domiciliari avrebbe continuato a fare quello che fa da più di venti anni: il “sindaco della camorra”, ossia il paciere dei conflitti che periodicamente insorgono tra le diverse anime della criminalità organizzata partenopea: per debiti di gioco, per questioni di controllo del territorio, per fatti di sangue. A lui veniva assegnato il compito di chiudere accordi, sopire vendette e far perdonare omicidi.

Di lui hanno parlato i pentiti in diversi verbali, alcuni assai datati. Cominciando dal ruolo che Montescuro ebbe nel disinnescare la faida esplosa nel 1998 tra i Contini e i Mazzarella, episodio clou l’omicidio del 75enne Francesco Mazzarella, falciato da un mitra mentre il figlio, Vincenzo, stava per uscire da Poggioreale, appena scarcerato dal Gip nonostante il parere contrario del pm Luigi Bobbio. Il clan Di Lauro, e in particolare Paolo Di Lauro, intuì che da quella guerra sarebbero derivati danni per tutti e convinse le due cosche rivali a deporre le armi davanti a un tavolo a cui fu fatto sedere anche Montescuro: i Di Lauro ne furono i garanti ‘militari’, lui quello ‘morale’.

Forse il primo a raccontare l’episodio fu lo scrittore Simone Di Meo in un libro del 2008 ormai quasi introvabile, “L’impero della camorra”. Lo ritroviamo spiegato nel verbale del 15 maggio 2008, allegato all’ordinanza, del collaboratore di giustizia Maurizio Prestieri, che attribuiva a Zi Minuzz l’appartenenza ai Mazzarella: “Questo Zi Minuzz (Carmine Montescuro, ndr) veniva in rappresentanza dei Mazzarella e in particolare di Ciro Mazzarella detto O’ Scellone. Ebbi modo di comprendere che, al di là delle apparenze, quella persona anziana aveva un forte carisma criminale tanto che lo stesso Paolo Di Lauro si mostrava molto rispettoso nei suoi confronti. D’altra parte Zi Minuzz aveva evidentemente il potere di rappresentare in una situazione così delicata i Mazzarella cui avevano ucciso il padre. Quell’incontro che si tenne nella casa ove si appoggiava Di Lauro nel Terzo Mondo (Il Rione dei Fiori a Secondigliano, ndr) mise, effettivamente, le basi per la tregua cui si arrivò”.

La procura sottolinea un altro summit al quale Montescuro partecipò col ruolo di ‘mediatore’: quello del 2002 in un ristorante del Borgo Marinari. Erano presenti i vertici di importanti clan, tra i quali Beppe Missi, il capo dei Mazzarella, e due referenti di primo piano dei clan Contini e Licciardi. Il segno della pace fu il regalo di Zi Minuzz a Ciro Sarno, boss dell’ominimo clan, in una diatriba sorta con il clan Formicola, ritenuto responsabile dell’omicidio di un affiliato ai Sarno: una collanina d’oro.

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