di Giovanni Visone*

In Italia li chiameremmo migranti in transito. Qui li chiamano caminantes. Forse una parola più umana, concreta, per descrivere la pena quotidiana di chi ha dovuto scegliere di lasciare la propria casa spinto dalla fame e dalla paura di non avere più un futuro.

Francesca Matarazzi, Emergency Coordinator di INTERSOS, è a Cucuta, al confine tra Venezuela e Colombia, dove l’immagine di questa umanità in cammino è diventata scenario abituale di una delle crisi umanitarie più gravi e, purtroppo, meno finanziate del 2019. E dove INTERSOS, nell’estate del 2019, ha avviato una nuova missione incentrata su interventi di protezione e accesso alle cure mediche.

“Li vedi passare ogni giorno – ci racconta Francesca – li puoi seguire per giorni, da una tappa all’altra, senza riposo. Famiglie con bambini piccoli, anziani. Camminano. Camminano senza scarpe. Camminano con la pelle bruciata. Camminano con indosso i vesti dell’estate, diretti verso il freddo di Bogotà e delle Ande”.

Nonostante oltre 4 milioni di venezuelani abbiano lasciato il Paese, il flusso di migranti e rifugiati ha registrato un nuovo picco nell’estate 2019. Fuggono da un Paese piegato da una crisi economica che sta riportando le lancette dello sviluppo indietro di decenni. Fuggono dall’inflazione selvaggia, dalla mancanza di beni primari e dal crollo dei servizi pubblici.

Tra dicembre 2018 e aprile 2019 i prezzi dei prodotti di base sono aumentati di oltre il 1000%. Anche se il cibo è ancora disponibile nei mercati, molte persone non possono permettersi di acquistarlo. La dieta si impoverisce, fino alla fame. Agli attuali prezzi di mercato lo stipendio medio di 15mila bolivar consente l’acquisto di circa tre pagnotte di pane.

Mancano elettricità e carburante. Il sistema sanitario è al collasso. Molti medici hanno lasciato il Paese. La carenza di personale, insieme alla mancanza di medicine e attrezzature, ha portato alla sospensione di attività e alla chiusura di reparti ospedalieri. I programmi di vaccinazione e profilassi sanitaria sono crollati.

Alcuni dati. Tra il 2008 e il 2015, è stato registrato un solo caso di morbillo (nel 2012): da giugno 2017 sono stati segnalati oltre 9.300 casi, di cui oltre 6.200 confermati. L’Organizzazione mondiale della sanità riferisce che i casi di malaria sono costantemente aumentati negli ultimi anni, da meno di 36mila nel 2009 a oltre 414mila nel 2017. Le ultime statistiche ufficiali disponibili dal ministero della Salute venezuelano indicano che nel 2016 la mortalità materna è aumentata del 65% e la mortalità infantile è aumentata del 30% in un solo anno.

In questo momento gli operatori di INTERSOS sono attivi, in collaborazione con il Cisp (Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli), in Colombia, nei dipartimenti di Norte de Santander e Arauca, a supporto di attività di protezione rivolte a rifugiati venezuelani, caminantes, sfollati interni e ritornati colombiani (colombiani, vittime del conflitto armato, scappati in Venezuela negli anni); in Venezuela siamo attivi nello Stato di Tachira e nella città di San Cristobal a supporto di un progetto di accesso alle cure mediche di base attraverso team mobili.

Nell’area di confine della Colombia, migranti e rifugiati trovano alloggio in edifici, spesso attraverso affitti collettivi in alloggi sovraffollati, e in insediamenti informali, spesso insieme a sfollati interni e rimpatriati. “Le condizioni di vita sono estremamente precarie, sia dal punto di vista igienico che da quello della sicurezza. Il rischio di essere esposti ad abusi è purtroppo molto alto – racconta Francesca – mancano statistiche ufficiali ma sfruttamento del lavoro minorile e sfruttamento sessuale sono elevati, soprattutto fra chi si trova privo di documenti ed è, quindi, più in pericolo”. Insidie del presente che si sommano al trauma della perdita e del viaggio che segna la psicologia di ogni rifugiato.

Ecco perché, allora, INTERSOS ha scelto di esserci. “Nonostante la crisi in Venezuela attragga una costante attenzione per i suoi sviluppi politici, i bisogni umanitari sono largamente dimenticati, con un finanziamento rispetto ai bisogni registrati inferiore al 30%. C’è tantissimo da fare per proteggere la vita e la dignità delle persone e noi abbiamo scelto di essere, ancora una volta, in prima linea”.

*Direttore Comunicazione e Raccolta Fondi Intersos

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