Potrebbe crollare a breve una parte del ghiacciaio Planpincieux, sulle Grandes Jorasses, lungo il versante italiano del massiccio del Monte Bianco. La massa a rischio collasso è di circa 250mila metri cubi. A dare l’allarme oggi sono state le strutture tecniche della Regione Valle d’Aosta e della Fondazione Montagna sicura, registrando un’accelerazione del movimento che ha raggiunto la velocità di 50-60 centimetri al giorno. Il Comune di Courmayeur ha disposto la chiusura della strada comunale della Val Ferret.

Il sindaco Stefano Miserocchi ha firmato un’ordinanza che prevede strade chiuse e immobili evacuati a partire dalle 19,30 nelle zone interessate al rischio crollo. Il primo cittadino evidenzia “il significativo incremento della velocità di scivolamento”. Questi fenomeni, si legge ancora, “testimoniano ancora una volta come la montagna sia in una fase di forte cambiamento dovuto ai fattori climatici, pertanto è particolarmente vulnerabile. Nella fattispecie si tratta di un ghiacciaio temperato particolarmente sensibile alle elevate temperature”.

“L’analisi dei dati di movimento” del ghiacciaio, spiega ancora la nota, hanno evidenziato un potenziale pericolo di crollo “senza tuttavia poterne prevedere da un punto di vista temporale l’esatto momento, di un volume stimabile in massimo 250mila metri cubi. Dagli ultimi rilevamenti è apparso evidente un aumento di velocità di tutta la porzione inferiore del ghiacciaio che a cavallo tra fine agosto e settembre ha registrato una velocità media di picco tra i 50 e 60 centimetri al giorno“.

Proprio oggi un dossier del Wwf ha denunciato che con la media delle temperature degli ultimi anni – il lustro 2015-2019 potrebbe registrare un record, ha detto ieri l’Organizzazione dei meteorologi mondiali – i ghiacciai sotto i 3.500 metri sono destinati a sparire nel giro di 20-30 anni. Se le temperature continueranno ad aumentare, nel giro di pochi decenni i ghiacci eterni dalle Alpi Orientali e Centrali potrebbero ridursi drasticamente o scomparire. Rimarrebbero solo sulle Alpi Occidentali, quelle più alte.

Che i ghiacciai alpini si stiano ritirando lo dimostrano i dati dell’ultimo Catasto dei ghiacciai italiani: la superficie è passata dai 519 kmq del 1962 ai 609 kmq del 1989 per arrivare agli attuali 368 kmq: il 40% in meno; contemporaneamente, il numero dei ghiacciai è passato oggi a 903, contro 824 nel 1962 e 1381 nel 1989, un aumento dovuto all’intensa frammentazione che ha ridotto sistemi glaciali complessi a singoli ghiacciai più piccoli. E il futuro non è più roseo: secondo alcuni studi sulla potenziale evoluzione fino al 2100 del ghiacciaio dei Forni in Valtellina, il più grande ghiacciaio vallivo italiano già in forte ritiro negli ultimi trent’anni, ci sarà una ulteriore fortissima riduzione; il ghiacciaio del Calderone nel massiccio del Gran Sasso in Abruzzo, il più meridionale d’Europa, viene ormai considerato praticamente estinto, anche se uno strato di ghiaccio ridotto a 25 metri è ancora presente sotto i detriti. Alcuni ghiacciai hanno perso oltre due chilometri di lunghezza negli ultimi 150 anni, ma si riduce anche il loro spessore che può assottigliarsi anche di sei metri in una singola estate.

Le conseguenze? I deflussi estivi dei fiumi derivano per la maggior parte dalla fusione glaciale, venendo meno i ghiacciai svanirebbe anche il loro contributo ai torrenti alpini e ai fiumi della Pianura Padana, compreso il Po con significative conseguenze sull’approvvigionamento idrico per la popolazione e per le attività economiche, a cominciare dall’agricoltura. Inoltre, le dighe ad alta quota si trovano per lo più sotto o nelle vicinanze di grandi corpi glaciali, se i ghiacciai scomparissero verrebbe meno anche parte della materia prima necessaria per produrre quell’energia.

E aumenta anche il rischio dei cosiddetti glacier hazards, che è il caso del Planpincieux, cioè i rischi legati all’azione diretta del ghiaccio o della neve e potrebbero portare a valanghe di ghiaccio e ad alluvioni catastrofiche per esondazione di laghi glaciali, come quella verificatasi nell’estate di quest’anno vicino al ghiacciaio Zermatt in Svizzera. La fusione del ghiaccio marino altera i cicli climatici e le correnti, sia quelle ventose (jet stream) sia quelle marine, come la corrente del Golfo. Per il Mediterraneo e l’Italia tutto questo è molto rilevante. La fusione delle coperture di ghiaccio sulla terra ferma avrà molti effetti, dall’innalzamento del livello del mare alla drastica o totale riduzione delle riserve d’acqua dei ghiacciai montani su cui si basa la vita degli ecosistemi e delle comunità umane.

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