Dalla legge sul Revenge Porn, alla richiesta di allungamento dei tempi di denuncia per la violenza sulle donne, fino alla cacciata dell’assessore di Pisa, accusato di molestie, Andrea Buscemi. Le tematiche di genere, in Italia, sono tra quelle che mobilitano di più il mondo della rete. Almeno secondo quanto sostiene la piattaforma Change.org, che, a distanza di sei mesi dalla festa delle donne, ha deciso di organizzare una tavola rotonda con le attiviste del Movimento #Libere, per ricordare le petizioni al femminile che negli ultimi mesi hanno avuto successo. Tante quelle ancora da vincere che, però, sono già sulla buona strada. La chiave, secondo la direttrice di Change.org Italia, Stephanie Brancaforte sta nel raccontare una storia che susciti “empatia” in chi deve poi firmare, magari proponendo un racconto in prima persona, “mettendoci la faccia”.

È il caso di Lidia Vivoli, vittima di tentato omicidio da parte dell’ex compagno, che ha scelto di lanciare una raccolta firme per chiedere tempi più lunghi per le donne vittime di violenza per poter denunciare i propri aggressori. Una prima vittoria che è arrivata con l’introduzione della legge sul Codice Rosso, che allunga, di fatto, i limiti per una valida querela dai sei mesi ai dodici mesi. Secondo la Vivoli il vero fattore vincente è stato il “mostrare la verità”. “Ho fatto vedere il mio corpo massacrato e un video di quando ero in ospedale – spiega – Ho scelto di mostrare le mie foto private del 2012. Alcuni neanche pensavano che fossi io, pensavano stessi recitando, ma quando parli con la verità non sei contestabile”. Lidia ha scelto di essere la “voce delle donne che non ci sono più” e di provare, nel suo piccolo, ad ascoltare chi non riesce a tirar fuori la voce. “Io conosco il terrore che si prova quando qualcuno ti sta togliendo la vita, è una paura che non si può spiegare”, dice ancora. Certo, l’introduzione del Codice Rosso non basta, specifica Lidia. “È un primo passo. Io sono stata sentita due giorni dopo l’aggressione anche se non esisteva ancora la norma. Il vero problema sono i tempi della giustizia. La custodia cautelare in carcere dura 5-6 mesi, mentre, se va bene, il processo inizia dopo un anno. Il tuo carnefice ha sei mesi per venirti a cercare, minacciare te, o peggio i tuoi figli”. La soluzione, dice, ci sarebbe, ed è quella di adottare, subito, il “braccialetto elettronico”, una misura che permetterebbe di tenere d’occhio tutti gli uomini (e le donne) violenti che hanno il divieto di avvicinarsi alla loro vittima. “Ora il divieto di avvicinamento è solo un pezzo di carta. Ma il foglio lascia il tempo che trova, è un palliativo”.

Fondamentale, secondo gli attivisti di Insieme in Rete, che hanno lanciato la petizione per introdurre in Italia il reato di Revenge Porn, è l’educazione, sia a una cittadinanza attiva, che della “società civile”. “La nostra petizione è stata rivolta ai presidenti delle Camere – spiegano – e in primis anche all’onorevole Boldrini, che nei mesi precedenti si era impegnata per ottenere una legge ad hoc. E ci siamo riusciti”. Il lavoro, dicono, non si ferma qua. “Volevamo una responsabilizzazione delle piattaforme, un’educazione civica digitale. Perché la criminalizzazione non basta. Per sconfiggere il patriarcato è necessario sensibilizzare”. Tra le richieste anche l’introduzione di un sostegno legale e psicologico gratuito per le vittime. L’emendamento proposto in aula durante la discussione del Codice Rosso, “è stato un primo elemento” che, auspicano “andrebbe integrato con una legge organica”.

Ma c’è anche chi, tramite Change.org, ha deciso di lanciare una petizione meno di respiro nazionale e più circoscritta. È il caso delle donne che hanno chiesto le dimissioni dell’ormai ex assessore di Pisa, Andrea Buscemi, “riconosciuto colpevole del reato di stalking secondo la sentenza della Corte d’appello di Firenze emessa in data 30 maggio 2017” – reato ora caduto in prescrizione. Una raccolta firme, diretta al sindaco della città toscana, Michele Conti, che, secondo le promotrici, non “è da pensare riferita solo a un caso specifico”. “Abbiamo sempre sottolineato, soprattutto durante i confronti con le vittime, che per noi era una causa civile e culturale, non solo specifica”, spiegano le attiviste, comunque stupite dei risultati raggiunti: quasi 46mila firme. Oggi Buscemi, dopo un rimpasto nella giunta, è fuori dal Comune “per motivi personali” anche se, secondo alcune ricostruzioni dei giornali locali, l’ex assessore sarebbe già pronto a un’altra poltrona, un incarico nel settore della cultura nel Comune di Montecatini Terme, in provincia di Pistoia, a guida leghista.

E simile è anche la raccolta firme lanciata dalla Maison Antigone che chiede le dimissioni del vicesindaco di Roverè, Loris Corradi, che si è presentato a un evento pubblico indossando una maglietta che “inneggiava alla stupro”: “Se non puoi sedurla puoi sedarla”. A chiederne le dimissioni, rivolgendosi sia al sindaco della città, Alessandra Caterina Ravelli, che direttamente al Presidente della Repubblica, un’associazione che da anni si batte per i diritti delle donne. Ad oggi le firme sono poco meno di 40mila, ma l’obiettivo è puntare molto più in alto, arrivando quindi a “vincere” la petizione.

Mentre le storie personali aiutano le persone ad identificarsi meglio con una campagna, non c’è alcuna formula magica per il successo di una petizione, specifica la Direttrice Stephanie Brancaforte. “Ci sono petizioni a carattere generale che sono andate benissimo: per esempio è stata lanciata una raccolta firme per il gender pay gap – racconta – che sicuramente è il caso di riportare all’attenzione dell’opinione pubblica, perché la proposta è stata inserita nel programma del nuovo Governo dopo che avevamo sottoposto la questione a tutti i principali partiti durante la campagna elettorale per le europee. Il tema è stato indicato come priorità dal 70% dei nostri utenti, e su questo punto avevano risposto sia il Segretario del Partito Democratico che il M5s su Change.org”. Ma c’è anche il caso della petizione sulla piena applicazione della legge 194, che conta oltre 136mila firme. “La richiesta sicuramente deve essere concreta – sottolinea – ed è sempre importante mettere in luce le storie delle autrici e degli autori delle petizioni. Dopotutto, sono le persone a determinare il successo delle campagne e molto dipende dalla grinta e dalla creatività di chi le lancia. Il giusto mix spesso è un insieme di temi specifici, inseriti magari in un contesto più ampio”. L’esempio concreto è, appunto, la storia di Lidia, che in prima persona, “mettendoci la faccia”, ha chiesto un intervento concreto. Non per se stessa, ma per un disegno più ampio che giovasse a tutte le donne vittime di violenza in Italia.

Il lavoro del Movimento Libere, insieme a quello della piattaforma Change.org, cerca però di andare oltre l’attivismo online. “Il nostro compito come cittadini attivi è quello di ‘osservare’ le istituzioni”, spiegano alla tavola rotonda, sottolineando la necessità di cambiare la forma mentis delle persone. Certo è che mai come quest’anno le petizioni dedicate ai diritti delle donne hanno avuto successo. Il merito, come emerge dalla tavola rotonda, è anche in parte del clima politico, spesso “tendente alla misoginia o all’esaltazione di forme di patriarcato”, che ha risvegliato le coscienze latenti di chi crede in determinati valori, ma spesso non lotta per loro. Se si potesse scegliere oggi sarebbero molte le petizioni che lancerebbero le donne del Movimento. Una su tutte: la richiesta di una legge, che a sorpresa è comparsa all’interno del nuovo programma del governo Conte 2, che appiani le divergenze salariali tra uomini e donne. Ma non solo. Tra le proposte: la richiesta di un maggiore utilizzo del braccialetto elettronico, oppure, come suggerisce Lidia Vivoli, la proposta di una nuova legge che assimili il trattamento delle donne vittime di violenza a quello dei parenti delle vittime della mafia, “offrendo loro un primo impiego e un cambio di residenza”.

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